mercoledì 8 luglio 2009

La Via dell'Equilibrio

Spesso, per fuggire, contrastare o stemperare stati emotivi o mentali che consideriamo “down”, come la tristezza, la malinconia, l'umore depresso, si crede di dover incrementare gli “up”, come l'entusiasmo, l'esaltazione, il divertimento. Spesso, pur magari già sapendo che ci si può assuefare anche alle proprie medesime produzioni interne di neurotrasmettitori, quelle sostanze chimiche che veicolano le nostre emozioni, crediamo di essere immuni a questo rischio. La trappola degli eccessi fa sì che il nostro corpo si abitui, ahinoi, a tutto ciò che è eccessivo, “impostandosi” sull’eccesso come se fosse la norma. Nutriamo emozioni eccedenti e poi non riusciamo a gestirne i picchi, ritrovandoci continuamente dalle stelle alle stalle e viceversa… e di fatto dimostrando a noi stessi di non poter fare a meno di quell’altalena, per quanto apparentemente invochiamo l’equilibrio.
Anche il nutrire continuamente stati quali l’entusiasmo e la cosiddetta inflazionata "felicità", quando non ci basta che ci si presentino spontaneamente ma sentiamo la necessità di ricercarli e indurli a volontà, può condurci a soggiacere a bisogni presunti… e anche questa è prigionia.

Quando per star bene abbiamo bisogno a tutti i costi di quel qualcosa, sia esso un’emozione ricorrente o uno stato mentale, fisico o emozionale indotto, dimostriamo che non siamo liberi. Possiamo ritrovarci a dipendere dallo stato di innamoramento, che con la sua lieve euforia induce in noi un’attivazione sottilmente eccitante, come dallo stato di tristezza che ci porta a compatire noi stessi e il mondo e a ritirarci in meandri introspettivi forieri di profonde riflessioni... in ogni caso, consciamente o inconsciamente cercheremo, o attireremo, situazioni che possano soddisfare la nostra dipendenza dallo stato emotivo al quale siamo assuefatti.
Personalmente, le uniche cose dalle quali accetto di dipendere sono l’aria che respiro, il cibo e l’acqua di cui nutrirmi, lo spazio in cui muovermi… una terra e un cielo per sostenermi e orientarmi e ritrovare le mie radici nella materia e nello spirito che forniscono l’ordito e la trama alla tessitura del mio essere. Tutto il resto, altri compresi, costituisce il piacere dell’incontro, dell’esperienza, dell’apprendimento, del riconoscimento, della condivisione, e la scelta di mantenere il contatto o prendere distanza con discernimento.
Non c’è emozione “di picco” cui, secondo la mia esperienza, valga la pena di assuefarsi, se il prezzo che si paga è la propria libertà di essere… a maggior ragione quando pensiamo che controllare a comando ciò che proviamo ci renda più potenti. Meglio conoscere e riconoscere le proprie emozioni per apprendere a gestirle, piuttosto che lasciarsi gestire da esse credendo di averlo "scelto" attraverso un'illusione di controllo, e per di più pensando di averle scelte di propria volontà. Una libertà reale implica possibilità di scelta senza limiti, e la volontà spesso ne impone, poichè si può volere solo ciò che già si conosce o si presume.

I testi sacri di varie tradizioni spirituali concordano: “...beato colui che sa dipendere solo da Dio”. E alcuni di essi aggiungono che, a quel punto, l'Universo esaudisce ogni richiesta e desiderio... Senza scomodare Dio e l'Universo, anche solo prendendo in considerazione quell’ordine naturale che fa sì che ciascuno di noi possa facilmente disporre di ciò che realmente gli è necessario per vivere e realizzarsi pienamente, il resto potrebbe costituire l'illusione, ovvero restrizioni che noi stessi imponiamo al flusso generoso della Vita, credendo di sapere meglio di essa cosa ci serve per vivere felicemente. Ovviamente chi legge sa a priori che scrivo e de-scrivo mie esperienze soggettive… e il fatto che queste mie esperienze siano condivise da alcuni, accomunati forse dalla stessa fiducia o da chissà cos'altro, non significa necessariamente che lo siano per tutti... L'esperienza, per quanto condivisa o condivisibile, è comunque sempre personale. La mia personale esperienza degli stati di flusso, di quei momenti in cui tutto sembra davvero accadere e fluire facilmente come per magia, in cui le risposte e i doni della vita giungono puntuali soddisfando ogni bisogno e necessità reali addirittura in anticipo sulla possibile richiesta, senza nemmeno passare per il desiderio, mi dimostra che tutte le volte che mi abbandono con fiducia la corrente mi porta là dove sono attratta e attesa, là dove scopro tesori inimmaginati, là dove ciò che accade è superiore a quanto avrei potuto desiderare e dove il mio "fare" è piuttosto un "lasciar fare", un lasciare che le cose accadano, magari attraverso di me. Quando invece mi allineo e focalizzo su necessità presunte, la mia stessa presunzione mi allontana da ogni meta e obiettivo, per quanto ambiti, voluti e nutriti da emozioni e stati "up" ad ogni costo... Eppure, nonostante la vita mi dimostri continuamente che così funziona, sembra che l’inganno perpetrato da quell’ego che cresce nutrito da falsi bisogni sia duro da vincere... sembra davvero impegnativo venir fuori dalla trappola delle necessità presunte… e quando sembra che per star “bene” si abbia bisogno di sentirsi euforici, "in controllo", "carichi" ed entusiasti ad ogni costo, per esperienza dico che si rischia la propria autonomia, così come quando ormai si è presa l’abitudine di crogiolarsi nei propri malanni.

Ho tenuto qualche tempo fa uno stage intensivo di due giorni sul movimento. Il gruppo, una dozzina di persone, ha sperimentato vette energizzanti nella danza, e al termine ci siamo raccolti in un cerchio di condivisione per concludere la giornata integrando le esperienze vissute insieme. Qualcuno si è mostrato perplesso di fronte a questa scelta… Perché "atterrare", rientando nella pacatezza, invece di uscire dalla sala dello stage belli carichi, pronti a sfidare il mondo? Perchè, a mio avviso, qualunque stato venga sperimentato e raggiunto, per stabilizzarsi va incorporato, integrato nella propria esperienza di vita… altrimenti rimane un’esperienza isolata, bella sì, magari… un’esperienza alla quale magari ci si illude di potersi ancorare per fare ricorso a quell’ancora di salvezza nei momenti "difficili"… Poi si scopre che i momenti davvero "difficili" rendono ardua l’impresa di riattivare l’ancoraggio… solo perché tutto si gioca sull’intensità emotiva… Già, perché è l’intensità quella che vince, e anche l’ancoraggio più potente trema di fronte alle interferenze di momenti davvero intensi che solo la vita reale può serbare… Integrare, incorporare significa rendere indelebile l’esperienza, renderla costantemente non solo accessibile quanto presente… parte di sé a tal punto che si incarna quello stato… e anche nei momenti più duri e difficili, una volta smaltito l’effetto di qualunque interferenza emotiva si presenti o durante il processo stesso di "smaltimento" dei neurotrasmettitori associati, a quello stato si ritorna facilmente, perché una volta stabilizzato e integrato esso costituisce una base del proprio sentire. E l’integrazione, e la stabilizzazione, di qualunque esperienza, emozione o stato, avvengono nell’equilibrio.

Perseguire l’equilibrio per alcuni può sembrare noioso. Cosa c’è di esaltante, di eccitante, nell’equilibrio? Cosa c’è di attraente nella pacatezza che consente di guardare serenamente a ogni cosa facendo a meno dell’attaccamento e andando oltre ogni tentazione di formulare giudizi? Non è nemmeno una condizione che implichi assenza di sofferenza: nell’equilibrio ci si può permettere anche di soffrire quanto di gioire. Semplicemente, l’equilibrio implica la capacità di gestire emozioni, sensazioni, sentimenti anche estremi senza subirli e senza far ricorso a stratagemmi o strategie che ci distolgono dal vero, da quel sentire autentico e reale che ci permette di costituire la nostra coscienza stessa di esistere. C’è spazio anche per gli eccessi, nell’equilibrio, senza che si debba coltivarli assecondando tragicommedie interiori. È uno stato che ci restituisce la nostra dignità di essere umani, la nostra capacità di riconoscerci responsabili di ciò che viviamo e sperimentiamo.

Nell'equilibrio si sperimentano un'amorevolezza, una comprensione, una compassione la cui intensità oltrepassa qualsiasi passione, alla fine passivamente subìta, o l'impeto di qualunque innamoramento che susciti emozioni e sensazioni inevitabilmente transitorie. E nell'equilibrio vi è l'accesso a una profondità, un'elevatezza, un'intensita di sentire e sentimenti cui nessun picco potrà mai portare... come se fosse un accesso privilegiato, contraddistinto dall'assoluta spontaneità e dall'assenza di ogni bisogno o aspettativa...
Nell'equilibrio vi è un segreto, e poichè e tale è impossibile svelarlo... Si presenta e si svela da sè, quando all'equilibrio reale si accede... ...e di certo i veri equilibristi, come certi danzatori, acrobati, atleti, sanno qual è... il segreto di quella stabilità profonda che concede ogni volteggio in levità assoluta... quel sostegno interno che permette di giocare con il peso e con la gravità coniugando responsabilità e leggerezza... la presenza... nel presente...
...perchè nell'equilibrio è il segreto del flusso...

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