domenica 6 dicembre 2009

Tutto... e Niente...

Sì, da molto tempo non scrivo nulla di nuovo su queste “pagine”… sono pagine di vita, e non ho solo questo luogo in cui scrivere. Scrivo ovunque biancheggi lo spazio che occorre alle parole per formare immagini ed evocare sensazioni…forse, chissà, emozioni….o sentimenti.

Ho scritto tanto, ultimamente. Ho scritto quello che da anni aspettava di essere scritto da me… perché è vero che le cose “si fanno” da sole… ed è anche vero che le cose, per farsi da sole, hanno spesso bisogno di persone che prestino mani, occhi… a volte un corpo intero… o forse solo un punto di vista dal quale scaturire, nascere… e allora, più che un punto di vista, un punto… e basta… vuoto, come una pupilla...

E mi viene in mente che una volta… forse un anno fa... a una persona, ho prestato o, meglio, dato senza pensare a un ritorno - perché quando si presta, si pensa che ciò che si presta ritorni… e allora ho proprio dato... me stessa, per intero.
L’ho fatto sentendo in quel momento che ero solo un semplice strumento perché quel che doveva arrivare le arrivasse. E quando quel che è arrivato è passato, mi sono sentita davvero un punto nello spazio, o forse… o meglio… solo uno spazio e basta… senza nome. Un’apertura fatta di nulla… come una donna può essere. Nulla. Un vuoto. E niente d’altro.

Amare a volte forse è fare semplicemente ciò che al momento va fatto, senza mettere di mezzo quello in cui ci si identifica. Amare forse è soltanto lasciar passare l’amore e lasciarlo andare, anche se non ha i connotati che abbiamo sempre pensato dovesse avere.

Ho scritto tanto, in questi mesi, stando in quel nulla, sentendomi quel nulla.
Da quel nulla è nato un libro.
Forse, amare è anche sentirsi un emerito nulla che può vedere, e sentire, e percepire, e lasciar scorrere tutto

sabato 15 agosto 2009

Doni

Oggi festeggio. Veramente festeggio tutti i giorni, tutti i giorni celebro l'essere viva, in buona salute, circondata da creature meravigliose... persone in carne ed ossa e non solo... presenze amorevoli che rendono ogni prova più sostenibile...

Festeggio, perchè una persona che ho molto amato e che mi ha instradata e accompagnata per tre anni della mia vita, prima di lasciare la sua esistenza terrena un anno fa mi ha raccomandato di celebrare in alcuni momenti dell'anno le ricchezze e i doni da me ricevuti dal mondo spirituale che percepisco come la Fonte di questa mia esistenza, ritrovandomi con alcuni Amici e condividendo con loro un momento di convivialità... Amici, fratelli e sorelle...compagni di percorso con i quali mi ritrovo... trovando me stessa, perchè con loro sono libera di manifestarmi come sono, come ogni giorno mi svelo anche ai miei stessi occhi. Una manifestazione della Vita in forma umana, femminile, adesso.

Quella persona si chiamava Habiba Abdurahimova, la Maestra, la Shaykha, la Mamma, la Guaritrice... la Santa Sufi uzbeka che la Vita un bel giorno mi ha messo accanto e che accanto mi è ancora... e quanto la sento, adesso... quanto è presente...

Curiosa, la Vita. Da anni ero vicina a Shaykh Nazim, Maestro della via Sufi Naqshbandi, la via del Sigillo Divino impresso nel cuore... una Via che prende nome e forma proprio in Uzbekistan, dal Santo Shah Bahauddin Naqshbandi, secoli e secoli fa... e chiedevo in cuor mio se mai avrei incontrato la controparte femminile o, meglio, la manifestazione al femminile di quella Via... perchè già sapevo che nella mia vita il prendermi cura avrebbe avuto un posto preminente, e già sapevo che la guarigione e il ripristino dell'armonia sono doni che appartengono nella maggior parte dei casi alle donne, doni che quelle donne possono trasmettere...

Grazie, Mamma Habiba, per avermi trasmesso quei doni che solo ora, finalmente, posso accogliere... consapevole di ciò che comportano... prima di tutto, il dovere di essere esempio tangibile di come certe Forze possano manifestarsi per portare o ripristinare equilibrio, ordine, armonia...
E questo mi "obbliga" a star bene... mi obbliga ad "incorporare" io per prima ciò che potrò anche solo minimamente trasmettere, o trasferire, ad altri... perchè è la trasmissione che conta... in quel contatto, il passaggio di informazioni che ripristinano l'equilibrio... che riportano alla Fonte... all'Origine... dove tutto è perfetto... dove l'Esistenza è Divina, e dovremmo solo ricordarla, quella perfezione... per riconoscerla in noi...
Grazie.

martedì 4 agosto 2009

Presenza

A volte è difficile lasciare andare le cose che conosciamo bene... e le persone... persone che magari ci sono care... e quando se ne vanno o sembra che stiano per andarsene, vorremmo che ci avessero dato più tempo... per star loro insieme...

A volte, per rimpiangere chi se ne va senza darci altro tempo, perdiamo di vista chi c'è adesso, accanto a noi, pronto a svelarsi e a darci il suo tempo...

Se solo potessimo vivere presenti, sempre... e occuparci con il presente stesso, accogliendo i suoi doni... anche quando fanno male...

Se potessimo essere svegli, sempre... coscienti e consapevoli di ciò che ci scorre accanto, o attraverso...

...Arriveremmo puntuali a ogni appuntamento, coglieremmo ogni occasione, onoreremmo ogni regalo che la Vita ci affre, sotto la forma di eventi, persone, relazioni... nuove consapevolezze...

Di certo non ci aiuta vivere al passato, di certo nemmeno ci aiuta dimenticarlo senza averne colto i segni e i frutti. Possiamo lasciarlo una volta elaborato... quando è divenuto parte di noi, presente... quando è integrato... in te grato... quando possiamo dire "grazie" a quell'esperienza, allora possiamo andare oltre... verso un nuovo presente...

venerdì 31 luglio 2009

Storie di ordinaria Manutenzione...

Oggi mi sento profondamente grata e commossa. Per come la vita è straordinaria, per quanto è generosa, per come e quanto le persone possono sorprendere con le loro azioni, i loro regali o, semplicemente, con la loro esistenza...

A volte mi sono chiesta come tutto sia cominciato. A volte mi sono chiesta come sono arrivata fino qui, fino al punto in cui mi trovo ora.
Sì, la mia storia di vita la conosco, ci mancherebbe altro... ma ci sono punti cruciali in questa storia, punti di svolta, e alcuni di essi si sono persi strada facendo nei meandri della mia memoria... e a volte mi sarebbe piaciuto, e mi piacerebbe, ritrovarli per ritracciare la strada, appunto, che mi ha portata fin qui vedendomi letteralmente cambiare forma, una volta...
A volte ho avuto l'impressione che più che svolte fossero tornanti... qualcosa che sembra far invertire la direzione di marcia, quasi... ma è solo un modo per poter salire... ascendere... verso altre vette... o forse discendere...verso altre profondità... comunque un modo per cambiare dimensione... Un po' come quando si scopre che, mentre si tentava di chiudere un cerchio, si è percorso un tratto circolare sì, ma il cerchio non si chiuderà mai perchè, di fatto, è una spirale...

Ho ricordi di me poco più che bambina con mille domande per la mente, che vertevano tutte più o meno sul senso e significato della vita, alle quali nessuno intorno sapeva rispondere. Da dove vengo davvero? E cosa ci sono venuta a fare, qui, e a che scopo?
Da brava "disadattata", con la magrissima consolazione di avere (forse...o, almeno, così mi dicevano...) un'intelligenza superiore alla media che allora, di certo, non sapevo come impiegare per migliorare la qualità della mia vita, alle soglie dell'adolescenza vivevo da reclusa, relazionandomi al minimo con i compagni di scuola e manifestando un rigetto totale per tutto ciò che era corporeo e connotava il mio essere in carne ed ossa, contrapponendolo a una visione spirituale un po' distorta, piuttosto dis-integrata e dissociata dalla mia realtà quotidiana. Studiavo con voracità (e con voracità mangiavo... ero una "pallina" di un metro e cinquanta centimetri di altezza per più di sessanta chili di peso..."si fa prima a saltarla che a girarle attorno"!), dipingevo e mi dedicavo alla musica per placare le domande che continuavano ad assillarmi, vorticandomi in mente giorno e notte. Non mi bastava. Allora mi rifugiavo in biblioteca e, quando mi stava stretta, in libreria, tuffandomi nei libri il cui titolo mi ispirava. Intorno ai quindici anni, anzichè preoccuparmi di collezionare fidanzatini come sarebbe stato forse naturale a quell'età, navigavo tra l'astrologia, che nella visione Junghiana ed Ermetica mi dava l'idea di un continuum di identità tra l'Uomo e l'Universo, e la filosofia orientale, con una predilezione spiccata per l'induismo e il buddhismo nelle sue varie versioni. Vagheggiavo l'illuminazione, sempre in modo distorto, tentando di ritirarmi dal mondo anzitempo, tanto non mi piaceva.

Paradossalmente, furono proprio alcune tra le tante le pagine scritte che divoravo a spingermi a uscire pian piano dal guscio di intellettualismo che mi proteggeva apparentemente dal mondo che allora percepivo nemico... pagine che mi ispiravano riflessioni e azioni, prodotti delle elaborazioni interiori che preludevano alla più profonda fase di integrazione che ne seguì, quando compresi il valore dell'esperienza concreta, la quale non poteva fare a meno di quella corporeità che mi consentiva l'esperienza stessa.
Dotata di una grande capacità immaginativa che mi permetteva di immedesimarmi rapidamente in ciò che incontravo tramite la lettura, avevo così tanto sviluppata la tendenza a "far mio" ciò che leggevo che, via via in breve tempo, dimenticavo la fonte dalla quale avevo attinto. Così, negli anni, di biblioteca in biblioteca, di trasloco in trasloco, di prestito in prestito, lasciavo o regalavo (perchè non sempre ciò che si presta ritorna...) alcune pietre miliari dei disvelamenti prodottisi nella mia coscienza durante la lettura, disvelamenti che avevano preparato il terreno a quelle esperienze concrete che mi avrebbero finalmente trasformata.
Sì, perchè fu la scoperta del corpo come strumento concreto, "reale", di esperienza psicologica e, oserei dire, spirituale, a permettermi di trasformarmi, o forse di svelarmi o, appunto, scoprirmi, lasciando emergere finalmente la natura che mi caratterizzava profondamente al di là del guscio di restrizioni fisiche, emotive e mentali nel quale mi nascondevo e che per lungo tempo mi aveva supportata.
La scoperta venne tardi, dopo i vent'anni, grazie ai dolori accumulati studiando malamente il pianoforte fino a un soffertissimo (è il caso di dirlo...) diploma. Per liberarmi da quei dolori fui costretta a fare i conti con la mia struttura fisica, e compresi vivamente che a nulla mi servivano tante speculazioni intellettual-filosofico-spirituali, visto che la mia mente non poteva sussistere avulsa dalla mia realtà fisica... quel corpo che mi rappresentava nel mondo, che mi permetteva di incamerare stimoli, percezioni ed esperienze sentendo, e di manifestarmi nell'azione (in una parola, vivere)...

Fu una scoperta dolorosa e potente, che mi spalancò le porte di un nuovo modo di vivere davvero, realizzandolo in quel qui e ora che prima di quel momento credevo un'astrazione. Era come nascere ...davvero, finalmente.
La scoperta, ovviamente, era stata ben preparata. E la preparazione era avvenuta tramite incontri davvero opportuni per quanto a volte apparentemente casuali, a loro volta preceduti da opportune letture.

Quante volte, in questi ultimi anni che hanno visto svolte ulteriori e, molto recentemente, una rinascita, mi sono chiesta quali fra i tanti, tantissimi libri da me letti in quella fase di preparazione che per me coincise con l'adolescenza e il periodo seguente, fossero stati i più significativi e illuminanti.
Sapevo di aver dimenticato, o più probabilmente rimosso, alcuni autori geniali e "scomodi" quanto lo era stato il dolore che pure mi aveva spinto alla svolta primaria, a quell'inversione di marcia (o, almeno, a quel grosso tornante...) che mi riportava al corpo e alla vita dopo anni di tentativi di autodistruzione perpetrati nel nome di uno spirito preteso e presunto al di là della vita stessa.

E proprio ora, in questi ultimi giorni e settimane che mi hanno vista interrogare su cosa e come mi ha permesso di arrivare fin qui, così come sono adesso... perchè me lo sono chiesto spesso, dal 1 marzo (un'altro tornante... e che tornante! Sono "tornata" per miracolo... vedi "Rinascita" ... si trova nell'indice...)... proprio ora, uno di quei libri ritorna... o dovrei scrivere: quel libro ritorna...
Perchè se c'è stato un libro che adesso, rileggendolo, riconosco di aver rimosso per quanto mi aveva toccata, colpita e sconcertata, che ha continuato a lavorarmi dentro per anni in modo subliminale tanto da trasformare radicalmente la visione e percezione di me stessa e del mondo, e da indurmi perfino alla scelta di un soprannome del quale solo adesso, rileggendo il libro da capo a fondo, ho riconosciuto l'origine e il motivo, quello è Lo Zen e l'Arte della Manutenzione della Motocicletta.

Rileggendolo in questi giorni, pagina dopo pagina, mi sono ritrovata a piangere non una volta sola. Perchè è come se più di vent'anni di storia, la mia storia di vita, della vita che riconosco dai giorni della scoperta di me, ritrovassero finalmente ordine.
Resto ancora una volta sconcertata da quei processi attraverso i quali quando una cosa è troppo per essere integrata al momento in cui si presenta, eppure viene riconosciuta come fondamentale, viene serbata in qualche luogo recondito nell'intimo, e da lì rilascia lentamente i suoi principi... guidandoci subliminalmente nella direzione dovuta...quella di ciò che dobbiamo a noi stessi...

Qual è la differenza tra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa? In che misura ci si deve occupare della manutenzione della propria motocicletta?...

"La vera motocicletta a cui state lavorando è una moto che si chiama voi stessi. La macchina che sembra 'là fuori' e la persona che sembra 'qui dentro' non sono separate. Crescono insieme verso la Qualità o insieme se ne allontanano."

A chi non ha letto questo libro di Robert M. Pirsig probabilmente queste frasi non diranno granchè. O, forse, muoveranno la curiosità di leggerlo... Adesso, rileggendo queste frasi, mi ricordo del momento in cui smisi di delegare ad altri la cura di me stessa, prendendomi amorevolmente la responsabilità di quella cura e della crescita verso quella Qualità che sostiene, guida e orienta il mio viaggiare... anche se l'ho chiamata e la chiamo in mille altre maniere, è proprio quella Qualità che mi permette di sentirmi presente e lasciarmi andare al fluire... oltre i confini, al di là di ogni distinzione...
Grazie, Antonio. Non saprai mai quanto avevi ragione dicendo che consigliarmi di (ri-) leggere quel libro (e di leggere il seguente) era il più bel regalo che mi potessi fare.

...da più di vent'anni, gli Amici mi chiamano "Mu"...

giovedì 23 luglio 2009

Metafore, Verità, Risvegli...

Lei era minuta, diafana e sottile, tanto che a volte sembrava non appartenere del tutto a questo mondo. In tanti la chiamavano “Fata”, e così noi la chiameremo. Amava le verdi montagne, così ricche di alberi, prati, ruscelli e cascate. Viveva del contatto con la Natura: la natura circostante, la propria natura, la natura ultima e reale di ogni cosa che le si svelava in quei momenti in cui si concedeva d’esser con se stessa… Da sola o in compagnia, quando era in quel contatto, lì si ritrovava e ritrovava l’essenza della vita… lì, libera, danzava, come danza ogni particella di quella che chiamiamo “materia” o, talvolta, “energia”, sempre consapevole dell’illusione che rende necessario dare un nome alle cose e credervi come se esistessero realmente separate dal tutto per farne esperienza.
Aveva memoria di dimensioni altre, più leggere, luminose e trasparenti, più prossime al reale. Quei ricordi le davano un senso di casa e appartenenza, più di quanto percepisse di appartenere a quel mondo in cui ora si manifestava.
A volte sentiva nostalgia del condividere profondamente quel senso di presenza e consapevolezza che potevano permettere a chiunque di andare oltre le mere ed effimere apparenze. Nonostante sapesse di custodire alcuni segreti della natura della quale era parte e ne portasse i segni nelle sembianze e movenze del corpo, soleva condividere il condivisibile nell’ascolto e nella comprensione, e amava, riamata, quella specie umana che sembrava possedere le chiavi della comprensione dell’Universo, anche se spesso pareva non ricordarsi più d’averle. E quando si incontrava con il muro dell’assenza da sé che coincideva col dimenticare la natura reale dell’essere, rimpiangeva la dimensione sottile alla quale sentiva che sarebbe potuta tornare una volta compiuta la missione terrena… una promessa tanto antica che nemmeno ricordava il tempo in cui l’aveva formulata: riportare ciascuno alla Natura, alla presenza e al ricordo della propria natura reale, risvegliando a quella dimensione nella quale tutti gli esseri sentono di comunicare davvero, ovvero vivono in comunione

Un giorno come tanti incontrò un Uomo. L’Uomo era molto sorridente e mostrava di possedere conoscenza. Sembrava proprio uno di quei rari appartenenti alla specie umana che sapevano comprenderla fino in fondo. Si comportava come se conoscesse i segreti che lei custodiva e che la segnavano, si comportava come si comporterebbe, forse, un Mago. L’Uomo aveva un suo seguito e, nonostante il seguito, sembrava molto solo, come se ospitasse in sé un vuoto apparentemente incolmabile.
La Fata provava sempre un sottile disagio quando si trovava davanti a un vuoto, e la propria natura empatica come l’acqua la portava naturalmente a impegnarsi a colmarlo, come una ferita da rimarginare. Si lasciò catturare da quel vuoto e dall’incanto sottile che l’Uomo sprigionava. Egli evocava immagini potenti, e a lei tutto questo parlava di magia… quasi un ritorno a quella che per lei era casa. In quella compagnia, pensò la Fata, sarebbe stato più semplice e breve portare a compimento la missione. Tanto più che l’Uomo dichiarava di avere il di lei medesimo obiettivo, quello di rendere ogni creatura più presente, risvegliata, consapevole di se stessa e dei propri doni e talenti.

Per lei, la vita scorreva tra il verde e l’acqua che la rigeneravano, mentre lui sembrava prediligere il clima secco e asciutto del deserto… o meglio, lui dichiarava, quello era il clima in cui aveva sempre vissuto… e asserì di esser pronto a seguire la Fata nella Natura che le dava vita pur di condividere la missione comune. Lei ne fu entusiasta, vicino a quell’Uomo sentiva nascere in sé il desiderio di condividere la missione sempre più, per poterla al più presto portare a compimento guadagnandosi il ritorno alla dimensione sottile che sentiva essere la sua reale dimora. Lui, forse, più che un Mago, era ai di lei occhi un Genio del deserto, come quello della lampada di Aladino, e sapeva incantarla con le parole e con gesti sapienti e suadenti, promettendo che ogni desiderio sarebbe stato esaudito. Presto la convinse che la natura nascosta e solo a lui conosciuta in un luogo segreto del proprio deserto sarebbe stata per lei ancor meglio delle verdi montagne consuete, delle quali le acque e il verde la nutrivano. La Fata lo seguì fiduciosa. Lui le descrisse paesaggi meravigliosi, montagne nemmeno mai sognate, cascate e polle d’acqua, le più fresche e rigeneranti, in mezzo a macchie di rigogliosissima e lussureggiante vegetazione… e intanto la conduceva verso i luoghi cantati e decantati. Lì si insediarono, col di lui seguito, per incantare folle di passaggio e stanziali, descrivendo loro i passi presunti del risveglio alla vita reale, testimoniato da lei che ne mostrava alcuni segni.

Passava il tempo, e la Fata ormai vedeva con gli occhi del sapiente incantatore… ma presto si accorse che qualcosa non andava in lei.
Di fronte a lei c’erano le oasi più floride e ricche che potesse aver mai desiderato… le acque più accoglienti e rigeneranti… ma perché, allora, sembrava non riuscire ad attingervi? E perché mai lì sentiva venir meno le forze, si sentiva prosciugare sempre più in quei luoghi che avrebbero dovuto essere per lei fonte di vita? Perché le sue ali e la sua pelle avvizzivano, e il corpo le bruciava come se fosse stato esposto al più rovente e arido calore mai sopportato?... Lui la esortava: era solo questione di abitudine, diceva… agli occhi di lui, lei stava compiendo un salto, doveva solo smettere di guardare al passato e ampliare la sua visuale, il suo orizzonte, lasciandosi alle spalle ciò che aveva vissuto e amato prima… era lì al servizio di una buona causa, e il loro sodalizio avrebbe fruttato il coinvolgimento di tante più persone… doveva solo guardare le cose da un altro punto di vista, cioè come le vedeva lui. Lei gli credette ancora, e resistette quanto più poteva… finché un giorno, giunta allo stremo delle forze, si sentì mancare, come se il cuore le si fermasse in petto, e cadde a terra sentendosi morire. E mentre cadeva, solo allora, finalmente, sentì i suoi occhi spalancarsi di attonita meraviglia, e vide davvero.

Intorno a sé solo rocce, e sabbia, sabbia rovente che incontrava il cielo in ogni orizzonte. Il deserto la circondava senza ombra d’acqua né di verde: non v’era oasi alcuna, ma solo arida desolazione.

E allora comprese: si fidava così tanto di quell’Uomo, gli aveva così tanto creduto che solo il senso di morte, il pericolo occorso alla sua vita, l’aveva risvegliata al vero. Le era stato concesso il privilegio di morire prima di morire… Perché alla fine, quando la vita sembra sfuggire quasi fosse giunta al suo termine, tutti i veli cadono dagli occhi e la verità svela se stessa.

Esausta e prosciugata, si rese conto che la sua mente e i suoi occhi si erano lasciati ingannare dalle lusinghe del cammino facile e breve, ma il suo corpo le aveva svelato la verità, e il reale ora si imponeva. L’oasi decantata altro non era se non un miraggio, un’illusione… Ora contava solo far ritorno alla Natura che portava nel cuore, alla natura propria, alla natura che garantiva la vita e l’esistenza: quella era casa. Raccolse le poche energie rimastele, e col pianto nell’animo disse all’Uomo che no, non poteva restare… ma non lo avrebbe mai lasciato solo, nonostante si fosse sentita ingannata… avrebbe continuato a stargli accanto per il bene del sogno comune durante il giorno, e dal tramonto all’alba sarebbe ritornata al verde e all’acqua, a celebrare la Natura per rigenerarsi e trarre quella vita che le avrebbe permesso di continuare la missione al di lui fianco.

Ingenuamente, lei pensava che l’Uomo avrebbe colto il segnale e accolto il di lei risveglio come un’opportunità per uscire egli stesso, come già il Mago di Oz seppe fare, dalla trappola di una vita virtuale, fatta ad arte per dare potere a un’immagine artefatta di sé, costruita forse per paura o solitudine, forse per rimarginare un’antica ferita, forse per celebrare una pretesa e vanitosa autorità, forse per esercitare una supremazia e un controllo insensati e inutili agli occhi dell’amore, della compassione e di quell’Ordine Divino che tutto comprende. Non sarebbe stato meglio raggiungere il cuore degli altri mostrando se stessi davvero?
Ma egli non tollerò di vedere svelato l’inganno. O forse non sopportava che qualcuno lo mettesse di fronte all’illusione, al miraggio al quale lui stesso mostrava di credere e assoggettarsi. Troppo spesso, infatti (solo ora la Fata vedeva), più che risvegliare, lui aveva indotto altri, nel seguito e tra la folla, a costruire miraggi e illusioni, a dare potere alle lusinghe dell’ego attraverso la mente, in nome di una propria allucinata visione… una visione che lo vedeva potente, unica guida di un ordine virtuale e artefatto, riconosciuto agli occhi di lui solo e di chi vedeva attraverso i di lui occhi.
Di fronte alla Fata, ormai conscia e consapevole, ormai in grado di discernere, l’Uomo svelò un aspetto di sé che lei non poteva immaginare e non aveva potuto riconoscere, giacché riconosciamo negli altri solo le cose che ci appartengono… Per lui, lei avrebbe dovuto rinnegare la natura e la vita, e piegarsi al deserto. Lei non si piegò, e riconfermò la sua promessa, scegliendo il risveglio al reale. Allora lui rinnegò ogni proposito e ogni affetto, e allontanò la Fata insinuando ciò che solo il di lui animo albergava.

Ciò che a lei più dispiacque in quel momento fu di accorgersi che lui stava tentando di distruggerla con le menzogne, rivestendola di epiteti ingiuriosi coi quali proiettava su lei ciò che, probabilmente, a lui e a lui solo apparteneva.

Alla Fata rimasero i segni anche di quell’esperienza, come un risveglio ulteriore. Grata alla vita ed ancor più grata alla morte che l’aveva sfiorata per svegliarla, tornò al suo compito con umiltà ancor più grande, senza più rimpiangere una casa che ora sapeva di portare ovunque con sé, in sé, nel suo cuore, consapevole ormai che non vi sono scorciatoie per andare nei luoghi che contano.

Ripensando all’incontro con quell’Uomo, grazie al quale aveva compreso che nulla ha valore se non la vita reale che ci è data, la cui natura è bene riconoscere, preservare, rispettare come il più prezioso dei beni, alla Fata un dubbio rimase… Non sapeva dire se egli fosse stato puro in principio, e poi vittima di forze oscure da lui stesso consciamente o inconsciamente attratte o messe in gioco, richiamate come pericolosi alleati dal crescente interesse per il potere… O se davvero la brama di potere e controllo fossero in lui fin dall’inizio e lo accecassero al punto di portarlo a rinnegare l’appartenenza a un Ordine più grande e naturale pur di distinguersi fra gli altri, facendolo sentire in diritto di disporre delle altre persone giocando a piacimento in nome di una sua pretesa supremazia… O magari...magari lui aveva solo recitato la sua parte, il suo ruolo, per portarla a quella nuova comprensione e consapevolezza di sè... E chissà cos’era il vuoto che lei avvertiva in lui all’inizio… forse in quel momento lui era stato lo specchio del vuoto che lei finalmente aveva colmato trovando in se stessa il senso di cuore che è casa… o forse in lui v’era uno spazio che apparentemente né la compassione, né l’empatia, né l’amore altrui avrebbero mai potuto colmare se non sostenuti forse dall’umiltà che conduce al rispetto per l’Ordine e la Natura propria e altrui… Alla fine, poco importava… Forse, a suo tempo, anche lui si sarebbe svegliato, se necessario… o forse il deserto sarebbe stato per sempre la sua casa poiché, per alcuni, miraggi e illusioni contano quanto per altri vita e amore in altre forme… e ciò va solo accettato… In fondo, sarebbe bastato che lui avesse riconosciuto e rispettato la natura differente di lei, che per natura già faceva altrettanto, senza pretendere di usarla e assoggettarla al suo regno attraverso l’inganno… forse…
Di certo, nella di lei visione, i loro due mondi così differenti si sarebbero potuti compenetrare sotto un cielo comune, quello dell’Ordine naturale e divino che tutto abbracciava e comprendeva… ma a lui ciò non sembava interessare. Di certo non ora, e forse mai. E, di certo, prestare attenzione ai dubbi a lei non sarebbe servito, e ascoltare le menzogne nemmeno.
Meglio il silenzio, e la verità per proteggersi.
La Fata lasciò per sempre il deserto e tornò alla sua natura… viva, rigenerata, rigenerante.

domenica 19 luglio 2009

Teatro

Che dimensione meravigliosa il teatro...non dico il teatro di tutti i giorni, quello che consapevolmente o meno facciamo recitando nella vita i nostri ruoli come da copione, prevedibili in ogni reazione a meno che non lavoriamo incessantemente sulla presenza e sulla consapevolezza di ciò che guida ogni nostro gesto, parola, pensiero, emozione, sentimento... No, dico il teatro nella sua dimensione di magia, quello che ci dà modo di essere così veri al di là di ciò che già conosciamo di noi, facendoci provare, sperimentare, vivere qualcos'altro che va oltre quell'ego piccino, banale e ristretto che mai basterà a chi siamo davvero... un'altro tempo e ritmo, altri spazi e luoghi dell'anima... aperti all'imprevisto e imprevedibile...
Che meraviglia stupirsi continuamente lasciando scorrere il flusso del sentire, consci solo del fatto che qualcosa di nuovo sta accadendo, e a noi resta soltanto osservare cosa ...e come... si fa...
Sono stata lontana da questa magia per lungo tempo, tutta presa da altro, e adesso è la magia che mi riprende con sè... Piccole cose, intanto... che suscitano in me grande entusiasmo... e vita...

Grazie, Paola...
Grazie, Francesca...

martedì 14 luglio 2009

Magia della Presenza

"Una donna, rimasta vedova improvvisamente, vedeva con disperazione pian piano esaurirsi tutte le risorse lasciatele in gestione. Nonostante i tanti possedimenti, sembrava che nell’enorme tenuta tutto andasse a rotoli: i campi, il bestiame, gli affari… tutto andava lentamente e inesorabilmente in rovina.
Una notte, mentre piangeva in silenzio chiedendosi come fare perché tutto ciò cambiasse e la sorte ritornasse ad arriderle, le apparve una Fata che le porse una scatolina di legno intagliato dicendole: “Non piangere più e smetti di preoccuparti. Con il mio aiuto entro un anno, a partire da oggi, i tuoi affari torneranno a prosperare.
Ti chiedo in cambio un impegno: dovrai ogni giorno, al sorgere e al tramontare del sole, prendere con te questa scatolina e fare il giro di tutte le tue proprietà, senza trascurare un campo, né una stalla, né una stanza qualsiasi della tua casa. Non ti è concesso aprire la scatola ora, ma fra un anno esatto tornerò e te ne darò la chiave, così potrai accedere al suo segreto”.

La Fata svanì e la donna fece esattamente ciò che le era stato detto. Ogni giorno, qualunque tempo facesse, prendeva con sé la scatolina e faceva il giro delle sue proprietà, visitando ogni luogo.

Giorno dopo giorno, in capo a pochi mesi, gli affari tornarono a prosperare e nel giro di un anno la situazione era migliorata al punto che la donna non ricordava di aver trascorso un momento più bello e intenso nella sua vita, coronato oltretutto da numerose proposte di matrimonio.
Una notte, allo scadere dell’anno trascorso, la Fata ricomparve. La donna la ringraziò commossa e le restituì la scatolina miracolosa, non senza una certa curiosità per il suo contenuto. La Fata, come promessole, le consegnò una minuscola chiave che la donna subito rigirò nella piccola serratura per vedere cosa di tanto miracoloso la scatola contenesse. Con grande suo stupore, la scatola… era
vuota.

Alla donna attonita, la Fata disse dolcemente: “Vedi, ciò che ha compiuto il miracolo è stata la tua presenza costante nella tua casa, in ogni luogo e spazio della tua tenuta. È bastato che tu compissi ogni giorno un semplice passaggio all’alba e al tramonto perché tutti coloro che lavorano per te, vedendoti così attenta e partecipe delle loro attività, lavorassero con più entusiasmo e maggior efficienza. La tua presenza è la sorgente del miracolo, da essa è scaturita una maggiore proficuità. Da oggi non avrai più bisogno della scatola, era solo uno stratagemma senza il quale non mi avresti mai creduta.
Ora che conosci il segreto, ti basterà continuare ad essere attenta e presente come lo sei stata in questi ultimi tempi per mantenere questo stato di prosperità nel luogo che abiti, e far sì che tutto si svolga in ordine e nel migliore dei modi…”.

Così è: viviamo una dimensione corporea sfaccettata e complessa, della quale possiamo permetterci di conoscere ben poco, perché l’intelligenza della Natura ha fatto sì che la maggior parte delle cose nel corpo avvengano senza la necessità di una nostra presa di coscienza diretta, senza bisogno di un controllo consapevole. Il cuore batte, a prescindere dall’attenzione che poniamo al suo lavorio incessante… e tutti i processi che portano il nostro corpo prima a crescere, poi a rigenerarsi, e sempre a produrre energia, avvengono sotto la direzione invisibile di una saggezza inconscia, nascosta e precisa.

Tuttavia, e in particolare quando qualcosa ci scuote improvvisamente dalla nostra routine, ci sono momenti e situazioni in cui, se vogliamo che tutto proceda o ritorni a procedere in ordine e nel migliore dei modi, ovvero in modo funzionale, è inevitabile divenire presenti a quella meravigliosa architettura che fa del corpo il Tempio, se non delle spirito, almeno della consapevolezza.

Il Tempio ha decine, centinaia di stanze e noi, nella maggior parte dei casi, ci accontentiamo di abitarne una o due… che spreco di risorse! …senza poi considerare il fatto che i luoghi non abitati ben presto decadono…

Sì, abitare tutte le stanze del Tempio e dar loro luce, aria, calore… viverle facendole vivere, e vivendoci dentro e attraverso… restando presenti e portando attenzione a ogni processo e a ogni sentire nascosto, a ogni percezione ed emozione, per approdare a quel sentire reale che va oltre l’emozione stessa… oltre il sentimento, il senso di esistere

Ogni giorno essere consapevoli di ogni luogo del corpo con la mente, presenti a ogni parte di esso affinchè si coordini e integri mirabilmente in un tutto-uno e unico
Ogni momento, essere presenti al respiro e al battito del cuore, che ci ricordano che siamo, e chi siamo…vita, esistenza… Essere.

mercoledì 8 luglio 2009

La Via dell'Equilibrio

Spesso, per fuggire, contrastare o stemperare stati emotivi o mentali che consideriamo “down”, come la tristezza, la malinconia, l'umore depresso, si crede di dover incrementare gli “up”, come l'entusiasmo, l'esaltazione, il divertimento. Spesso, pur magari già sapendo che ci si può assuefare anche alle proprie medesime produzioni interne di neurotrasmettitori, quelle sostanze chimiche che veicolano le nostre emozioni, crediamo di essere immuni a questo rischio. La trappola degli eccessi fa sì che il nostro corpo si abitui, ahinoi, a tutto ciò che è eccessivo, “impostandosi” sull’eccesso come se fosse la norma. Nutriamo emozioni eccedenti e poi non riusciamo a gestirne i picchi, ritrovandoci continuamente dalle stelle alle stalle e viceversa… e di fatto dimostrando a noi stessi di non poter fare a meno di quell’altalena, per quanto apparentemente invochiamo l’equilibrio.
Anche il nutrire continuamente stati quali l’entusiasmo e la cosiddetta inflazionata "felicità", quando non ci basta che ci si presentino spontaneamente ma sentiamo la necessità di ricercarli e indurli a volontà, può condurci a soggiacere a bisogni presunti… e anche questa è prigionia.

Quando per star bene abbiamo bisogno a tutti i costi di quel qualcosa, sia esso un’emozione ricorrente o uno stato mentale, fisico o emozionale indotto, dimostriamo che non siamo liberi. Possiamo ritrovarci a dipendere dallo stato di innamoramento, che con la sua lieve euforia induce in noi un’attivazione sottilmente eccitante, come dallo stato di tristezza che ci porta a compatire noi stessi e il mondo e a ritirarci in meandri introspettivi forieri di profonde riflessioni... in ogni caso, consciamente o inconsciamente cercheremo, o attireremo, situazioni che possano soddisfare la nostra dipendenza dallo stato emotivo al quale siamo assuefatti.
Personalmente, le uniche cose dalle quali accetto di dipendere sono l’aria che respiro, il cibo e l’acqua di cui nutrirmi, lo spazio in cui muovermi… una terra e un cielo per sostenermi e orientarmi e ritrovare le mie radici nella materia e nello spirito che forniscono l’ordito e la trama alla tessitura del mio essere. Tutto il resto, altri compresi, costituisce il piacere dell’incontro, dell’esperienza, dell’apprendimento, del riconoscimento, della condivisione, e la scelta di mantenere il contatto o prendere distanza con discernimento.
Non c’è emozione “di picco” cui, secondo la mia esperienza, valga la pena di assuefarsi, se il prezzo che si paga è la propria libertà di essere… a maggior ragione quando pensiamo che controllare a comando ciò che proviamo ci renda più potenti. Meglio conoscere e riconoscere le proprie emozioni per apprendere a gestirle, piuttosto che lasciarsi gestire da esse credendo di averlo "scelto" attraverso un'illusione di controllo, e per di più pensando di averle scelte di propria volontà. Una libertà reale implica possibilità di scelta senza limiti, e la volontà spesso ne impone, poichè si può volere solo ciò che già si conosce o si presume.

I testi sacri di varie tradizioni spirituali concordano: “...beato colui che sa dipendere solo da Dio”. E alcuni di essi aggiungono che, a quel punto, l'Universo esaudisce ogni richiesta e desiderio... Senza scomodare Dio e l'Universo, anche solo prendendo in considerazione quell’ordine naturale che fa sì che ciascuno di noi possa facilmente disporre di ciò che realmente gli è necessario per vivere e realizzarsi pienamente, il resto potrebbe costituire l'illusione, ovvero restrizioni che noi stessi imponiamo al flusso generoso della Vita, credendo di sapere meglio di essa cosa ci serve per vivere felicemente. Ovviamente chi legge sa a priori che scrivo e de-scrivo mie esperienze soggettive… e il fatto che queste mie esperienze siano condivise da alcuni, accomunati forse dalla stessa fiducia o da chissà cos'altro, non significa necessariamente che lo siano per tutti... L'esperienza, per quanto condivisa o condivisibile, è comunque sempre personale. La mia personale esperienza degli stati di flusso, di quei momenti in cui tutto sembra davvero accadere e fluire facilmente come per magia, in cui le risposte e i doni della vita giungono puntuali soddisfando ogni bisogno e necessità reali addirittura in anticipo sulla possibile richiesta, senza nemmeno passare per il desiderio, mi dimostra che tutte le volte che mi abbandono con fiducia la corrente mi porta là dove sono attratta e attesa, là dove scopro tesori inimmaginati, là dove ciò che accade è superiore a quanto avrei potuto desiderare e dove il mio "fare" è piuttosto un "lasciar fare", un lasciare che le cose accadano, magari attraverso di me. Quando invece mi allineo e focalizzo su necessità presunte, la mia stessa presunzione mi allontana da ogni meta e obiettivo, per quanto ambiti, voluti e nutriti da emozioni e stati "up" ad ogni costo... Eppure, nonostante la vita mi dimostri continuamente che così funziona, sembra che l’inganno perpetrato da quell’ego che cresce nutrito da falsi bisogni sia duro da vincere... sembra davvero impegnativo venir fuori dalla trappola delle necessità presunte… e quando sembra che per star “bene” si abbia bisogno di sentirsi euforici, "in controllo", "carichi" ed entusiasti ad ogni costo, per esperienza dico che si rischia la propria autonomia, così come quando ormai si è presa l’abitudine di crogiolarsi nei propri malanni.

Ho tenuto qualche tempo fa uno stage intensivo di due giorni sul movimento. Il gruppo, una dozzina di persone, ha sperimentato vette energizzanti nella danza, e al termine ci siamo raccolti in un cerchio di condivisione per concludere la giornata integrando le esperienze vissute insieme. Qualcuno si è mostrato perplesso di fronte a questa scelta… Perché "atterrare", rientando nella pacatezza, invece di uscire dalla sala dello stage belli carichi, pronti a sfidare il mondo? Perchè, a mio avviso, qualunque stato venga sperimentato e raggiunto, per stabilizzarsi va incorporato, integrato nella propria esperienza di vita… altrimenti rimane un’esperienza isolata, bella sì, magari… un’esperienza alla quale magari ci si illude di potersi ancorare per fare ricorso a quell’ancora di salvezza nei momenti "difficili"… Poi si scopre che i momenti davvero "difficili" rendono ardua l’impresa di riattivare l’ancoraggio… solo perché tutto si gioca sull’intensità emotiva… Già, perché è l’intensità quella che vince, e anche l’ancoraggio più potente trema di fronte alle interferenze di momenti davvero intensi che solo la vita reale può serbare… Integrare, incorporare significa rendere indelebile l’esperienza, renderla costantemente non solo accessibile quanto presente… parte di sé a tal punto che si incarna quello stato… e anche nei momenti più duri e difficili, una volta smaltito l’effetto di qualunque interferenza emotiva si presenti o durante il processo stesso di "smaltimento" dei neurotrasmettitori associati, a quello stato si ritorna facilmente, perché una volta stabilizzato e integrato esso costituisce una base del proprio sentire. E l’integrazione, e la stabilizzazione, di qualunque esperienza, emozione o stato, avvengono nell’equilibrio.

Perseguire l’equilibrio per alcuni può sembrare noioso. Cosa c’è di esaltante, di eccitante, nell’equilibrio? Cosa c’è di attraente nella pacatezza che consente di guardare serenamente a ogni cosa facendo a meno dell’attaccamento e andando oltre ogni tentazione di formulare giudizi? Non è nemmeno una condizione che implichi assenza di sofferenza: nell’equilibrio ci si può permettere anche di soffrire quanto di gioire. Semplicemente, l’equilibrio implica la capacità di gestire emozioni, sensazioni, sentimenti anche estremi senza subirli e senza far ricorso a stratagemmi o strategie che ci distolgono dal vero, da quel sentire autentico e reale che ci permette di costituire la nostra coscienza stessa di esistere. C’è spazio anche per gli eccessi, nell’equilibrio, senza che si debba coltivarli assecondando tragicommedie interiori. È uno stato che ci restituisce la nostra dignità di essere umani, la nostra capacità di riconoscerci responsabili di ciò che viviamo e sperimentiamo.

Nell'equilibrio si sperimentano un'amorevolezza, una comprensione, una compassione la cui intensità oltrepassa qualsiasi passione, alla fine passivamente subìta, o l'impeto di qualunque innamoramento che susciti emozioni e sensazioni inevitabilmente transitorie. E nell'equilibrio vi è l'accesso a una profondità, un'elevatezza, un'intensita di sentire e sentimenti cui nessun picco potrà mai portare... come se fosse un accesso privilegiato, contraddistinto dall'assoluta spontaneità e dall'assenza di ogni bisogno o aspettativa...
Nell'equilibrio vi è un segreto, e poichè e tale è impossibile svelarlo... Si presenta e si svela da sè, quando all'equilibrio reale si accede... ...e di certo i veri equilibristi, come certi danzatori, acrobati, atleti, sanno qual è... il segreto di quella stabilità profonda che concede ogni volteggio in levità assoluta... quel sostegno interno che permette di giocare con il peso e con la gravità coniugando responsabilità e leggerezza... la presenza... nel presente...
...perchè nell'equilibrio è il segreto del flusso...

mercoledì 1 luglio 2009

Metafora al chiaro di luna

Una volta vidi due lumache accoppiarsi. Erano due lumache vere, quelle senza chiocciola. Le avevo viste di notte incontrarsi sul piano di un muro di pietra, all’altezza dei miei occhi: provenendo da direzioni opposte stavano andando l’una verso l’altra, inesorabilmente attratte da mete comuni, inconsapevoli. Giunte al contatto, si erano soffermate a saggiarsi con piccoli tocchi, lentissime e dolcemente giocose.

Non avrei mai detto che le lumache potessero essere tanto sensuali…

Le vidi intraprendere una strana danza al chiaro della luna piena, accavallandosi dapprima, poi intrecciandosi come lenti serpenti. A quel punto, con le estremità finali dei loro corpi che filavano una bava lucente, trasparente e spessa, si appesero al bordo sporgente del muretto lasciandosi andare dolcemente nel vuoto, sospese a testa in giù. E in un abbraccio infinito, così intrecciate, iniziarono a roteare armoniosamente, lentamente, in un’ipnotica danza a spirale che le portava a discendere in chissà quali profondità mentre, lentissime, scendevano inesorabilmente verso terra. Il filo d’argento al quale erano sospese si allungava e pareva potesse farlo all’infinito, come infinito pareva il loro amplesso. E il loro roteare, da lento pareva farsi vertiginosamente vorticoso, mentre si compenetravano come una cosa sola.
Mi chiedevo quanto tempo potesse durare il loro incontro…la loro danza … pareva eterna, al di là di spazio e tempo…e mi appariva chiaro che, insieme, stavano compiendo sinuosamente un percorso al di là delle rotte ovvie e ordinarie, un viaggio aereo che da sole non avrebbero vissuto mai, una discesa calma e insieme rapida, inconsueta e sorprendente in una dimensione nuova, leggera… ormai lontane dal muro di pietra sul quale strisciavano… prima…ora muovendosi nell'aria e planando sicure verso il loro paradiso, un giardino rigoglioso che le aspettava per accoglierle…

“…ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso...
...e il piccolo è come il grande…”
diceva Ermete Trismegisto…

Chissà se le lumache amano…

Erano bellissime le due lumache, sospese in quel vuoto pieno della loro intensità.
Non le vidi lasciarsi. Volsi lo sguardo altrove e le lasciai là a brillare sotto i raggi di luna, a memoria di un attimo eterno presente, un attimo prima che toccassero la terra carica di fragranze estive, per ricordarle eternamente allacciate in quella mirabile Danza della Vita che così profondamente mi aveva toccata dentro.

sabato 27 giugno 2009

La Bellezza dentro...

Quante volte ho proiettato su altri visioni di ciò che avevo raggiunto in me stessa, riconoscendo anticipatamente cose che un giorno saranno, ma allora no, non erano ancora.

È proprio vero, ciascuno di noi può vedere e riconoscere negli altri e nel mondo ciò che ha esperito e conosciuto di se stesso e in se stesso… ecco come diventa facile individuare il bello e il buono intorno, quando lo si alberga in sé… e così pure proiettare nefandezze, quando le si ospita nell’animo. Le conseguenze, in ambo i casi, possono essere spiacevoli… e in ogni caso, preferirò sempre l’aver proiettato con fiducia un po’ di consapevolezza e bellezza in più su una persona con la quale ho camminato, piuttosto che l’averle tolto fiducia riducendola a un mero incidente di percorso, proiettandole addosso miei limiti e paure.
Sì, perché prima o poi quella persona ci arriverà lì dove l’avevo vista precorrendo i suoi tempi… perché la vita è perfetta, e tende alla perfezione in ciascuno di noi, e non c’è perfezione più grande del realizzare quell’amore che muove il mondo e al quale l’universo obbedisce, danzando…

A volte è vero, chi scorge la nostra bellezza e completezza prima che noi riusciamo a scorgerla o ad accoglierla da noi stessi ci fa quasi un dispetto… perché anche la bellezza ha un peso, più greve delle mancanze… perché non si può non amarla per quanto commuove e fa vibrare di pienezza a tal punto che si abbandonerebbe tutto il superfluo per realizzarla, quella bellezza intrinseca che fa amare tutto ciò che si vede e sperimenta… che fa contentare di poco per vivere felici e liberi davvero… Eppure a qualcuno fa paura. Allora è meglio fuggire, e coltivare status symbol rassicuranti, prima che la bellezza ghermisca e conduca alla resa come prima o poi farà, perché quella bellezza è l’anticamera della perfezione che ci attende…

Personalmente, aspiro a realizzare la capacità di vedere e percepire cose e persone per quelle che sono al momento, ma ogni tanto precorro ancora i tempi e pago, perché chi non è pronto a riconoscersi, ad uscire allo scoperto, può rivoltarsi e ferire e uccidere, cancellando l’esperienza o, peggio, rivestendola di intenzioni distorte che hanno lo scopo di rendere più accettabile il tutto secondo i proprio schemi.
È proprio vero, non possiamo far altro che interpretare il mondo filtrandone la visione e la percezione attraverso le nostre personali esperienze e, così presi dal nostro giudicare le intenzioni e le azioni altrui, presuntuosamente dimentichiamo la nostra parzialità. Ma già, siamo così ansiosi di far collimare le esperienze con il modello che abbiamo del mondo, e ci fa così comodo usare strumenti che potrebbero aprirci la mente per creare invece illusioni che appaghino il nostro progetto di vita assecondando nient’altro che un ego ingombrante… e pretendere poi che tutto ciò che incontriamo e viviamo riconfermi l’illusione… tanto che, quando qualcuno o qualcosa mette in crisi il nostro castello di carte false interferendo con l’illusione, piuttosto che guardare oltre le apparenze preferiamo annientare la fonte di interferenza stessa…
Dio, siamo così piccoli da attribuire agli altri intenzioni che alla fine svelano le nostre, senza ricordare che, forse, potremmo invece semplicemente interpellare chi ci sta di fronte, espandendo il nostro orizzonte e accedendo a un punto di vista, o a un sentire, più ampio…
Io sono, e aspetto con fiducia... in presenza

Ya Wadud, Ya Latif…

giovedì 25 giugno 2009

Nel Flusso




Amo danzare... quando danzo, vivo la bellezza dell'abbandono a un flusso che mi trasporta al di là di ogni volontà di movimento... e mi fa sentire e percepire, in ogni fibra del mio essere, parte di una corrente di compassione-con-passione infinita... tutto diventa facile, ogni gesto scaturisce dal sentire e non dal fare, ogni sforzo del vivere scompare e rimane solo il senso di appartenenza a un tutto che oltrepassa ogni confine individuale... E, al di là della mia identità attuale, in quel momento sento di esistere come manifestazione dell'Esistenza stessa, trasportata oltre la gravità del peso che normalmente ogni corpo incarna, incorporando la leggerezza che nasce quando si lascia alla Natura il timone e la guida.

Sì, cari, il corpo è un miracolo naturale, e conoscerlo significa comprendere quelle leggi che ci guidano proprio perché ci costituiscono e forniscono la trama e l’ordito alla nostra tessitura di esseri umani, laddove “umanità” assume per me un profondo senso e significato spirituale...

Mi sono ritrovata, negli ultimi tempi, a riflettere sul potere dell’abbandono che scaturisce dalla rinuncia al controllo ad ogni costo. Nel corso della mia vita ho passato alcuni periodi in cui mi sembrava indispensabile programmare ogni cosa, come se l’andamento degli eventi dipendesse dalla mia volontà. In certi momenti e in certi casi saper far questo (cioè programmare le cose come se tutto dipendesse da ciò) aiuta. La volontà è uno strumento prezioso e, di fatto, gran parte delle nostre azioni si compie proprio quando esercitiamo il potere della nostra volontà. La maggior parte delle volte è grazie alla volontà che ci orientiamo nella vita e scegliamo cosa fare e come farlo. Ma la nostra volontà è soggetta a restrizioni, le nostre restrizioni percettive che costituiscono il limite a ciò che vogliamo realizzare e agli orizzonti che ci poniamo. Già, possiamo “volere” solo ciò che rientra per noi nell’immaginabile, e l’immaginabile è costituito da ciò che comunque crediamo sia bene per noi sulla base di esperienze già vissute. Anche potendo immaginare oltre, immagineremmo comunque qualcosa di prevedibile…
Non possiamo andare, nemmeno con la nostra immaginazione, al di là di ciò che siamo in grado di percepire e concepire mentalmente…e questo già pone un limite a ciò che possiamo desiderare, o volere, per noi. Inoltre potremmo stancarci di mantenere per lunghi periodi il focus su ciò che vogliamo raggiungere, soprattutto quando le nostre richieste sono molto particolareggiate…o piuttosto condizionate dai nostri presunti bisogni, o desideri.

A volte il desiderio stesso è un limite, soprattutto quando anch’esso è condizionato, a nostra insaputa, da una libertà presunta o fittizia, fondata sulla convinzione che essere liberi significhi fare ciò che si vuole creando da sé lo scenario che farà da sfondo alle nostre azioni e allo sfoggio del nostro potere di ottenere obbedienza… quasi ci fosse, dietro tutto questo, una sorta di mancanza di fiducia verso la vita e un bisogno spasmodico di decidere a priori quello che dovrà accadere, forse per timore che accada qualcosa che può farci male, o al di fuori dal nostro controllo…

E, ancora una volta, il corpo è Maestro, e insegna. Nel nostro corpo infatti, nel nostro sistema muscolare, troviamo fibre che lavorano sotto il controllo della nostra volontà cosciente. Sono sì obbedienti, ma si stancano presto. Quando le sottoponiamo a un carico di lavoro continuo, subentrano tensioni e restrizioni che affliggono l’intero sistema congelandoci in una forma che ci mantiene in sembianze rigide e artefatte. Volere è faticoso, quando non ci si affida. Fortunatamente, nel nostro corpo ci sono anche fibre muscolari che non necessitano della nostra volontà cosciente per lavorare. Queste non si stancano, sono create appositamente per sostenere il nostro peso e dare supporto e sostegno a ogni movimento. Agiscono autonomamente, sulla base di ciò che siamo in grado di percepire. Nella nostra capacità di percepire coscientemente, di percepire sentendo, si riflette l’abilità di sostenerci.
E come percepiamo? Con i sensi, le porte di quella percezione che ci consente di muoverci senza più sforzo, sentendoci sostenuti in ogni gesto e azione. Il piede che sente e che palpa la terra… lo sguardo che sfiora gli spazi e gli oggetti, proietta le proprie luci accogliendo in sé forme e colori… l’udito che capta ogni suono e ci fa vibrare con esso… l’olfatto e il gusto, che ci portano a raggiungere ciò che possiamo felicemente assaporare… In tutto questo percepire, ci orientiamo nello spazio circostante trovando il sostegno in noi stessi.
E più affidiamo il peso alla terra con le porte dei sensi bene aperte, più ci scopriamo capaci di auto sostenerci… più espandiamo il sentire, più si chiarisce come e dove orientarci…

Il nostro corpo, ancora una volta, custodisce i segreti che ci consentono di comprendere noi stessi su altri piani. È la metafora vivente, carnale, o addirittura il territorio che ci fornisce la mappa della coscienza stessa di esistere. La volontà va sorretta dalla fiducia, e la fiducia implica l’abbandono. L’abbandono a un controllo superiore… E cos’è superiore alla volontà?

…Quel sentire profondo, quel percepire espanso al massimo grado dal quale scaturisce la certezza del flusso che ci guida, al quale arrenderci come a una corrente dolce e intensa che ci porterà là dove siamo attesi e destinati… là dove è il meglio per noi, là dove non giungeremmo nemmeno a immaginare di poter giungere, tanto è lontano…
Là, la nostra volontà si arrende a cuò che qualcuno chiama “volontà divina”… quasi un “controllo superiore” che non richiede sforzo di controllo alcuno, che ci chiede solo di lasciar fare, lasciar accadere, testimoniare osservando ciò che accade arrendendoci

Quando riscopro il potere di questa resa a un ordine più grande della mia piccola volontà razionale, e lo rispetto anche se non lo comprendo fino in fondo, allora vivere diventa facile come danzare... allora non ci sono più ostacoli…. c’è solo il libero fluire del miracolo e della meraviglia continui…

Rinascita

Ho sempre amato definire me stessa come una “ricercatrice” nell’ambito di quegli strumenti e di quelle esperienze che hanno come scopo principale quello di accrescere la consapevolezza di sé per approdare a una sempre maggiore espansione della coscienza stessa di esistere.
La mia ricerca mi ha portata a coltivare parallelamente sia il grande interesse per il funzionamento del corpo, della mente e della psiche umana, sia quello per il mondo dei simboli e degli archetipi. Seguendo questo binario, passando per una formazione incessante in tecniche di integrazione della struttura corporea e mentale (in chiave psicofisiologica con ampi risvolti antropologici) iniziata negli anni '80, sono giunta ben presto a confrontarmi con alcune antiche correnti appartenenti sia allo sciamanesimo sia alle Vie spirituali di tradizione, incontrando guaritori e Maestri spirituali di ambo i sessi. Grazie a questi incontri mi è stato possibile espandere notevolmente la mia mappa, visione e concezione del mondo, riconoscendone sempre più la soggettività e l’ulteriore possibilità di ampliarne i confini. Le persone straordinarie e i Maestri che ho incontrato mi hanno ulteriormente spronata ad andare oltre i limiti del pregiudizio e dell’apparenza, incentivando sempre più la rimozione di presunte “certezze” fideistiche restrittive che via via, una volta rimosse, lasciavano spazio a una inimmaginata libertà di pensiero e azione, basata su esperienze percettive sempre più sottili.
Scoprivo con sorpresa (prima di incontrarli pensavo che alimentassero la dipendenza, assecondando nelle persone il bisogno di credere in qualcosa mettendo se stessi su un piedistallo...) che i Maestri agiscono e “lavorano” umilmente per la libertà reale di ciascuno: prima per raggiungerla essi stessi, poi per aiutare le persone a scoprire e a realizzare la loro natura più vera, profonda e spesso celata, quella natura unica che contraddistingue ogni essere a prescindere dall’etnia, dallo status e dal “credo” (leggi “religione”…ma anche credenze e convinzioni) di appartenenza, andando oltre qualsiasi “credo” in sé. Questi esempi viventi di realizzazione e rispetto mi inducevano sempre più a lavorare sul “risveglio”, il risveglio della coscienza, il risveglio alla presenza nel qui ed ora, il risveglio al mio “senso di sé” più vero e profondo… perché, anche se non capivo esattamente cosa fosse questo stato che poteva portarmi al di là delle soglie e spoglie del mio cosiddetto “ego” (quello in cui ci si identifica, e che rischia di diventare una prigione nella quale ci si prende troppo sul serio) per sperimentare un sentire più ampio, sentivo che una volta sperimentato quel sentire, l’avrei riconosciuto.

Sentivo anche di non essere sola in questa ricerca. Avevo infatti il sentore di una “rete” cui appartenevo come molti altri, altri che come me condividevano intento e cammino. Forse ero solo un po’ troppo frettolosa di riconoscere chi intrecciava il suo percorso col mio, e magari anche di apprendere strumenti per accelerare il percorso, anziché seguire le orme di chi aveva già ottenuto completo successo nell’impresa. Pensavo di poter sostituire alla saggezza dovuta all’esperienza di vita la mia ferma volontà di riuscire… pensavo che, per vivere il risveglio della mia coscienza d’essere e l’espansione della mia consapevolezza, magari “contagiando” positivamente altre persone (da brava trainer e insegnante…) per condividere con esse queste nuove conquiste, bastasse accedere a quegli stati di coscienza “altri” e alterati che, attraverso la trance, Maestri, guaritori e sciamani sembravano “navigare” a piacimento.
Questo mi indusse, in un primo tempo, ad affrontare l’ipnosi come accesso facilitato agli agognati stati “altri” di coscienza e, infine, ad approfondire l’arte di comunicare con se stessi e gli altri attraverso la programmazione neuro linguistica. Mi sembrava di aver trovato una scorciatoia, o addirittura un'autostrada... comunque una strada comoda e veloce per accedere a quelle dimensioni della coscienza che potevano portarmi all’essenziale, al di là di ogni illusione…

Di fatto, stavo dando davvero molto spazio e importanza alle esperienze di trance, come se fossero veramente essenziali e determinanti allo sviluppo mio e delle persone in generale. Invece, l’esperienza di trance era solo una porta. Ormai credevo, grazie a quelle esperienze, di essere “sveglia”, credevo di essere “fuori” da Matrix, e capite cosa intendo se avete visto il film (il primo, anche solo quello. Se non l’avete visto, rimediate e capirete di cosa parlo...).
Mi sbagliavo.

Marzo 2009. Una Domenica come un’altra. Ero a casa mia in cucina, e mentre riordinavo ne approfittavo per “ripulire” anche la mia mente, alla ricerca di blocchi inopportuni, perché avevo da un po' di tempo la sensazione di “qualcosa di troppo”, o di stonato, dentro e intorno a me. Mi chiedevo cosa ci fosse, ancora, che ostacolava il flusso e frenava il libero corso degli eventi… il corso della realizzazione dei miei progetti nel lavoro, il corso della mia realizzazione come persona. Apparentemente, tutto sarebbe dovuto “filare liscio come l'olio”, e invece percepivo distonie e difficoltà che tuttavia non riuscivo a individuare distintamente.
Ero reduce dall'ultimo corso in pnl seguito oltreoceano e frequentato con alcuni colleghi, visto che l’entusiasmo di fronte al potere del linguaggio evocatore di stati alterati di coscienza mi aveva portata ad accogliere un’idea di collaborazione che sembrava potesse portare a grandi risultati in breve tempo. Mi era sembrato proprio un bel corso (e, in generale, mi sembrava un bel percorso), nel quale tutti noi avevamo vissuto stati di trance che portavano a volare alto, a percepire che tutto poteva diventare possibile… bastava volerlo, immaginarlo, sognarlo… e lo stato di esaltazione che ne seguiva pareva davvero più che piacevole… profondamente rigenerante, direi. Sembrava di toccare il cielo con un dito. Al seguito di quel corso, alcune idee e collaborazioni mi parevano ancor più che mai utili e proficue, e stavo dando energia a progetti che al momento mi sembravano davvero volti al “risveglio” della coscienza umana. Mi pareva proprio che fosse importante lavorare in un certo modo sulla mente, sui processi che, attraverso il linguaggio, incrementano certi cambiamenti nel modo in cui i pensieri vengono formulati e “lasciano il segno”… per quanto il pensiero sia in grado di generare, in effetti, emozioni e stati in grado di condizionare perfino il corpo.
A un tratto, mentre ero in piedi davanti al lavello della cucina, ho sentito un suono improvviso, in rapidissimo crescendo, farsi strada nel mio cervello lacerandomi i timpani. Indescrivibile, un urlo metallico, una sirena, un allarme assordante che mi stupiva soprattutto mentre mi rendevo conto che sembrava echeggiare solo nella mia testa… mi sono resa conto che stavo cadendo a terra senza alcuna possibilità di oppormi alla gravità, senza alcun controllo del mio corpo (prima di allora ero stata diverse volte sulle soglie dello svenimento senza mai perdere coscienza e controllo: me ne accorgevo da piccoli segnali da “pressione bassa”: vertigini, ronzii, palpitazioni, oscuramento della vista… mai, mai ero caduta così, prima d’ora. Semplicemente, mi sdraiavo, sollevavo le gambe e attendevo di riprendermi, cosa che avveniva puntualmente). Questa volta avveniva tutto troppo in fretta, senza preavviso, ed era qualcos’altro rispetto a ciò che conoscevo. Un solo pensiero, per cosa avrebbe trovato chi mi avesse cercata, mentre mi sentivo strappare via dal corpo, come se un’immensa mano afferrasse la mia coscienza e la estraesse repentinamente in un lampo dalla sommità della mia testa. Il mio corpo cadeva a terra, “io” venivo strappata e attratta supersonicamente verso l’alto, indietro in diagonale… buio totale, l’impressione di una velocità vertiginosa in una sorta di tunnel (che strano…da come lo descrivono nei libri e nei film, me lo sarei aspettato “in avanti”, non verso l’alto in diagonale)… una proiezione della mia coscienza scagliata verso una luce abbagliante in fondo, o meglio in cima…
Non c’è corpo “formale” in quella dimensione davvero “altra”, solo coscienza pura di esistere. Niente che assomigli ai pensieri, o alle percezioni “umane”, terrene. È “qualcos’altro” che posso descrivere, adesso, solo usando metafore e “come se”.

Mi ritrovo improvvisamente in uno…spazio? …Se fosse uno spazio e avesse colori, potrei dire che era di una purezza cristallina, tenue e abbagliante insieme. Qualcosa simile alla luce riflessa dei cristalli quando la scompongono in arcobaleni… Colori, se fossero tali, vivissimi, brillanti e delicati insieme… Io coscienza pura, pura presenza e consapevolezza. Né spazio, né tempo. Solo impressioni. Cioè qualcosa che si imprime indelebilmente, o forse…si svela? Perché è come veder cadere tutti i veli di colpo…tutte le illusioni svanite…dissolte, e rimane solo la realtà…cruda e forse crudele… Di colpo, fuori da Matrix…fuori…da ogni contenitore rassicurante…oltre il mio nome, il mio genere, il mio ruolo, la mia vita… oltre ogni definizione, limite o confine….e c’è solo il sentire puro, e la coscienza assoluta di ciò che sono al di là di ogni nome, e forma umana.

…Chi sono, da dove vengo, dove vado…
Io sonoquiora.
Scorre in un baleno il film della mia vita “ultima”, quella che fino a poco prima mi apparteneva, ciò con cui potevo identificarmi. Mi impatta il ritorno di ciò che fino ad ora, in questa vita di Monica, Monique, ho seminato. Percepisco una rete sottile e potente che mi connette indissolubilmente ad altri umani “sentire”, e distinguo. Oltre gli umani sensi, oltre al vedere perché non posso dire di “aver visto”… oltre al sentire, all’odorare, al gustare, al toccare… perché non si “sente”, né si “tocca” quel che provo in questa dimensione, lontana da ogni possibilità di descrizione…
Oltre gli umani sensi, mi rimane solo il senso delle relazioni umane.
Sorpresa. È come se nient’altro fosse rilevato o rilevante, non c’è nient’altro oltre a questo. Mi si svela, chiaro come il sole in pieno giorno, che nient’altro ci portiamo dietro oltre la vita terrena… solo il senso di ciò che abbiamo vissuto e condiviso, quell’esperienza che nasce dalle relazioni “vere”… E cade la maschera dei ruoli, finisce il gioco delle presunte grandezze, o presunzioni… e null’altro rimane, solo l’amore che abbiamo dato e condiviso… solo il confronto con le proprie intenzioni, e nemmeno coi risultati…
Dio, dove Sei?
Ti Sono dentro… Mi-Ti Sei dentro…
Oltre l’umana commozione, provo il senso di un’enormità incomprensibile, in questa rete… che tutto connette… e la sensazione… che la Vita serva proprio per colmare tutti quegli “spazi” tra le maglie della rete stessa, quei vuoti di conoscenza per le aree di coscienza e percezione ancora inesplorate… aree in cui l’amore ancora non è stato scoperto e percepito… e dato…
E in questo limpido stupore, l’impatto improvviso con un mondo paludoso e insieme arido, le sabbie mobili degli interessi, del potere, del successo facile, delle illusioni create nella trance e vendute come panacea… grazie ai giochi di un linguaggio sottile che scolpisce la mente e la riplasma, e quando riplasma solo il cervello crea altre illusioni con la pretesa di dissolverle, sovrapponendo benessere ricreato a malessere sopito… La mente mente, per quanto si lascia, ingenuamente, suggestionare.... Mi appare chiaro ed evidente, ora, come ogni risposta e capacità di comprensione si trovino oltre la mente, ben al di là di essa… e la chiave per raggiungerle sia l’espandersi della coscienza e della presenza a un sé che non dipende dall’identità terrena, ma definisce se stesso attraverso l’amplificarsi delle percezioni e del sentimento, e null'altro… uno stato detto anche presenza… e, per alcuni, sentire

Sento, sentosento e sono… prendo coscienza di tutta quella che vissuto come la “mia” vita, la rivivo in meno di un battito di ciglia… eterno... e mi ritorna tutto ciò che ho dato e ricevuto, e solo quello che ho dato conta, per quanto sono nuda di fronte alle intenzioni che hanno mosso ogni mio gesto, ogni parola, ogni azione verso chiunque, anche solo per un attimo, ha fatto parte della mia vita… come trovarsi di fronte alla verità finalmente cruda, svelata, senza filtri… senza più scuse…solo la Verità… solo ciò che è Vero… solo ciò che ha valore… solo le relazioni umane…senza interessi… nude anch’esse, come me.

Mi confronto con ciò che ha mosso ogni mio passo. Solo gli Amici contano, adesso.
Solo le buone compagnie, quelle che quando fai un salto saltano con te, chi prima, chi dopo… e cui resti accanto silenziosamente anche quando non saltano, pronta a consolarle quando si fanno male… quelle di cui ti prendi cura a prescindere dal se-mai si sono prese o si prenderanno cura di te… e quelle che ti stanno accanto quando hai paura di saltare e aspettano silenziose…e ti aiutano a rialzarti dopo ogni caduta… e nonostante le cadute…
In questa rete di connessioni, in queste relazioni non c’è spazio per la seduzione… c’è spazio solo per quell’attrazione che nasce dall’Amore e all’Amore conduce… solo quello ha un senso, come se fosse il solo senso che sopravvive alla morte. O che, di fronte alla morte, si presenta. Conta solo chi ho amato, e quanto. A chi ho dato senza riserve. Senza tenermi niente. Senza preservarmi.
E torna la palude, con le sabbie mobili di relazioni malsane e alla fine sterili, coi giochi di potere, le supremazie, le presunzioni.
È come se vedessi chiaro in ogni cosa, adesso.

Sei una goccia d’acqua… puoi scegliere di farti seccare al sole, e magari una piccola parte sopravvivrà e andrà ad aggregarsi alle nubi, e ricadrà da qualche parte sulla terra, senza più memoria… puoi scegliere di lasciarti assorbire dalla sabbia o dalle sabbie mobili dalle quali mai niente crescerà davvero, dando potere alle menzogne che avviluppano e trattengono dal volare veramente… puoi scegliere a quale corrente affidarti ricordando la tua Essenza e celebrando la tua Natura, ricordando chi sei, da dove vieni e dove vai…perché l’unico potere che abbiamo, noi piccoli, minuscoli granelli di sentire, è quello di scegliere a quale corrente appartenere, con quali Amici viaggiare…o forse, più che scegliere, riconoscere… sì, riconoscere a Chi apparteniamo…a noi stessi, alla “nostra” corrente, quella che ci guida e amplifica la nostra libertà di fluire, portandoci all’Oceano dove il nostro sentire, già durante il percorso, si fonde con altri senza confondersi… con i sentire affini, quelli che vibrano con noi… che fluiscono in un’unica Via e corrente, pur mantenendo il senso di una consapevolezza Una…
Io…sono…qui…adesso...

Discernimento, al di là delle illusioni e del desiderio di condividere a ogni costo ciò che mi guida, magari con chi invece percorre altre strade. Discernimento…

E poi all’improvviso qualcosa mi strappa a quella dimensione… mi risucchia giù, in un corpo che non risponde… solo quel fischio urlante nelle orecchie, ancora…mi lacera la mente già spezzata mentre riapro gli occhi, a terra, la testa rivolta a destra, lo sguardo fisso…vedo la “mia” casa…cerco d’istinto il battito del cuore… non lo trovo, al suo posto il frullo d’ali di un colibrì… poi il nulla.
Vengo meno ancora ai miei sensi umani appena riaccesi, mi sento spegnere del tutto, mentre ho il vago ricordo di non sentire nemmeno più il colibrì, di colpo, come se il frullo d’ali cessasse all’improvviso. La visione di ciò che mi sta intorno si riassorbe veloce in un puntino luminoso, come quando spegnevo il vecchio televisore dei nonni, da bambina… poi…
Nero. Buio. Spento. Tutti i sistemi azzerati. Mi “trovo” sospesa in un vuoto nero brillante. Niente pensieri, niente impressioni. Niente...emozioni? Sto…sono…il mio sentire…ancor più scarno. Essenziale. Sto con quello che mi appartiene, al di là di spazio e tempo. Qualcosa di infinitamente lontano, ancor più di prima, da ogni possibilità di descrizione.
Pura coscienza d’Essere.
Sto con ciò che ho incorporato in “quella” vita di Monica e forse altre, parallele….
Sono ciò che sono stata capace di sentire e provare, al massimo grado. Non negli stati esaltati della trance, non negli stati alterati della mente, non negli stati di ebbrezza da endorfine al massimo. No.
Sentimento. Ancor più di prima, sto nella semplicità assoluta. Sto negli stati quieti e dolcemente liquidi dell’Amore che ho amato, che sono stata capace di provare, e forse di trasmettere.

Non so come, i sistemi si riaccendono. Il cuore sembra passare di colpo da una “danza taranta” a un ritmo che mi sembra al limite del credibile, tanto mi pare assurdamente lento. Ma forse, mi dico, mentre il suono lacerante adesso è solo un sibilo che urla affievolendosi, è la mia percezione del tempo che è sballata…
Finalmente mi ritrovo nel corpo, e muovo gli arti a fatica, e mi sembra che ci voglia un secolo. Resto stordita, la testa mi duole in modo feroce, non so se è stata la botta della caduta o cos’altro. E il dolore non è l’unica cosa feroce che sento. Sento in me crescere la consapevolezza dell’inganno, che mi rende più feroce del mal di testa. L’inganno perpetrato da quella mente che mente, o che si lascia ingannare, e dalle menzogne alle quali essa crede. L’inganno dell'illusionismo che usa parole, gesti e incantamenti sottili per manipolare sensazioni ed emozioni facendo credere che i veli cadano, quando invece ci si sta solo dipingendo sopra immagini così soddisfacenti e degne di ammirazione da credere, poi, che quella sia la realtà vera e far passare la voglia di guardare oltre il velo stesso… un paesaggio fantasmagorico e allucinato al posto della Verità nuda. La mente che mente. Adesso lo so, lo vedo, lo sento, lo tocco con mano. È così programmabile, la mente… Peccato, per tutti quelli che mi hanno programmata nel tempo, consapevolmente o meno, in buona fede o meno, che un’esperienza del genere, come un qualsiasi fortissimo shock, deprogrammi il cervello e tolga ogni filtro apposto al sentire. Mi tornano alla memoria i cani di Pavlov, programmati perché i loro riflessi di salivazione fossero condizionati dal suono di una campanella. Anni di programmazione andati in fumo quando i poveri cani rischiarono di annegare. Salvati in tempo, avevano perso ogni condizionamento. Mi sento solidale con loro. E ringrazio. Cos’altro posso dire, o fare…?
Niente.
In realtà niente, perché ho vissuto un’esperienza talmente essenziale che non può essere spiegata e nemmeno descritta. Sono solo povere parole, o parole povere, queste. So solo che la sensazione più viva è che ciò che sta e rimane a livello mentale, anche coinvolgendo la nostra capacità di vivere emozioni e stati che arrivano a modificare il sentire corporeo, finché non coinvolge la struttura profonda (quel corpo che non a caso è stato indicato come il Tempio dello Spirito) resta un velo appiccicato su altri veli.

“Non ci sono scorciatoie per andare nei luoghi che contano” (anonimo).

Potremo essere i più bravi illusionisti, potremo convincere le persone a star bene, e perfino convincerle che tutto è possibile… non faremo altro che aiutarle a costruire illusioni su illusioni… come svegliarle, apparentemente, per farle invece passare da una Matrix a un’altra Matrix, magari più gradevole… e pur sempre una gabbia.
Cosa conta? ...è così soggettivo… cosa vogliamo “davvero”? Star bene ad ogni costo senza andare in profondità, accontentandoci della superficie rassicurante che può essere riverniciata con ogni colore… Oppure, semplicemente, sverniciare per far apparire il legno vero, col suo bel colore e calore naturale? Vogliamo continuare a sovrapporre facciate su facciate, restando sensibili al giudizio e all’approvazione altrui, o vogliamo affrancarci da tutto questo magari esponendoci alla critica, pur di scoprire e seguire la nostra Essenza e Natura unica, nel pieno rispetto di quella nostra e altrui?

Mai più manipolabile sarò, ora che sono stata faccia a faccia con tutte le volte che, consapevole o meno, ho manipolato e controllato e mi sono lasciata manipolare e controllare venendo meno a quel rispetto. Mai più controllabile da altri. Affido il “controllo” a Qualcosa che sento più grande di me, che non comprendo e so solo di aver sperimentato in questa esperienza di morte. Qualcosa di cui faccio parte, cui appartengo, o che forse mi appartiene. Il confine è labile, quando ci si sente nel flusso. Sparisce il senso dell’”io” e resta un “noi” che fa venire voglia di restare lì, perché quella è “casa”.

Eppure ritorno a questa Vita. Ancora. E vesto i panni di Monica, Monique, adesso. Senza più chiedermi chi c’è dietro, o dentro.
Ancora più forte di prima, il messaggio mi pervade. È la chiamata alla ricerca, come una vocazione. Ed è l’unica cosa che conta, adesso. Portare ad altri gli strumenti che mi hanno condotta qui, condividerli perché altri arrivino a questo punto (quelli che lo vorranno, ovviamente…i compagni di percorso e di flusso, insomma), senza bisogno di farsi venire una sincope per svegliarsi. E farlo nella grande, essenziale semplicità del “come viene, viene” e del “quando accade, accade”, per star fuori dalla trappola del sentirmi utile a ogni costo.

È possibile che io abbia sperimentato, così mi hanno detto, gli effetti di una sincope con fibrillazione e arresto cardiaco, anche se l’incredulità rimane di fronte al fatto che pare io mi sia rianimata autonomamente... sarà che ho seguito a suo tempo un corso di primo soccorso… e alla fine per fortuna faccio tutto da sola… o almeno mi salvo, da sola... o forse, piuttosto, è vero che non siamo mai soli. Mio figlio, infatti, sostiene che gli Elfi, le Fate e i Genii di casa mi sono saltati sulla pancia… è una visione un po’ fantasy del massaggio cardiaco, in effetti, e comunque, visto il contesto, regge... In ogni caso, qualunque cosa fosse, è stata un'esperienza. Intensa.

Miei cari tutti, il mondo della trance è una porta meravigliosa, che può anche condurre a quanto di più illusorio vi sia. Possiamo usare la trance per creare stati meravigliosi, e continuare con questi a coprire i veli pesanti con altri veli, leggeri, colorati, variopinti, cangianti, affinché mai ci venga voglia di sollevarli e guardare oltre, verso ciò che è più vero, verso quell’umanità che a volte è sofferenza, e sempre è gioia di condividere oltre le emozioni stesse quegli stati che solo il cuore, e mai la mente sola, comprende. Oppure possiamo usare quella porta per togliere illusioni, per far cadere i veli uno per uno, e riportarci all’essenziale, e lì possiamo farlo, certo, accettando umilmente di farci strumenti e di servire la causa del risveglio, quello “vero” (solo il nostro…), che non va così d'accordo con gli interessi e magari non ci premia con la fama, con l'esaltazione, col successo e col denaro facile e immediato. Matrix insegna. Un film, bella metafora. Il protagonista, Neo ("Neo-oNe" ovvero l’uno), non ringrazia nessuno lì per lì una volta sveglio. Il "traditore" suo antagonista, Cypher (da "sifr", che significa vuoto, zero… tutt’altro che presenza…), sceglie di tornare a dormire e a sfamare il sistema, pur di godere dell’illusione della Matrix. Il lavoro è lungo, e duro. Perché non si possono togliere i veli se prima non si è preparato il terreno rafforzando la struttura all’origine, quella che ci sostiene, che ci fa sentire ponte tra Cielo e Terra…
Quel corpo, Tempio dello Spirito, che non mente e non inganna mai. La mente è lo strumento “di passaggio”, raccoglie e ordina informazioni, e può essere ingannata. Il cervello, suo strumento, non distingue tra ciò che è immaginato e ciò che è percepito attraverso i sensi, e spesso il corpo riporta tracce di cose mai vissute e inculcate con sapienti induzioni. E con questo si può anche aiutare le persone a guarirsi, come ad ammalarsi. Basta evocare lo stato desiderato con le giuste induzioni, facendo leva con sollecitazioni opportune. Ma di fronte a uno shock, o semplicemente a un senso critico opportunamente vivo e vivace o risvegliato, capace di guardare oltre ciò che sembra e appare, solo ciò che è “vero” lascia il segno e perdura… solo ciò che è stato incorporato, con l’intensità che ci vuole per lasciare impresso il solco di un’esperienza reale della coscienza.
Nel corpo si scolpisce la nostra storia, quella che rimane alla coscienza e, forse (o veramente, per chi crede), sopravvive alla morte del corpo stesso. Il corpo che soffre, che suda, che geme, che ride, che abbraccia, che scalda, che gode, che freme, si ammala e guarisce… attraverso e oltre il pensiero e l’emozione, il corpo che incarna l’esperienza della coscienza pura.

Nella mia esperienza, tutto ciò che esiste e sopravvive alla morte è una parola sola. Umanità.
O, forse, Essere, o Essenza, intesi come essenziale. L’Uomo, ponte tra Cielo e Terra.
L’Uomo, archetipo Divino. L’essere umano, per quanto commisto e assimilato ad altre specie aliene, forse, o fatate, per una come me che crede nelle fate, nei geni e negli spiriti della natura, nonostante l’età... :-)
Tutto questo è comunque umanità, o meglio ancora, Natura. Umana, e Divina… comunque vivente.

Al mio “risveglio”, dopo quell’esperienza, mi è apparso chiaro il motivo per cui Shaykh Nazim an-Naqshbandi, un Maestro Sufi che incontrai nel 1995 (e altri con lui, soprattutto Buddhisti) diceva che gli “effetti speciali” generati da stati alterati di coscienza possono distrarre dalla ricerca del Reale. Diceva che il solo accesso per approdare al Divino e al reale senso di sé e di appartenenza al Tutto, oltre ogni illusione, è la porta del cuore. Non lo capivo completamente, credevo davvero che certe esperienze potessero espandere coscienza e conoscenza. Adesso credo di comprendere.
Il nostro cervello comunque “riveste” tutto ciò che viviamo con qualcosa che conosce, lo assimila a ciò che già ha vissuto… Se mi è possibile ricordare e raccontare qualcosa delle impressioni ricevute quando il cervello per pochi secondi forse si è “spento”, lasciandomi coscienza pura, è perché mi sono educata per anni a sentire e percepire attraverso il corpo e il cuore, a registrare ogni impressione che dal corpo arrivava al centro del petto, senza dare significati a ciò che sentivo. E lì, dal corpo al cuore, si percepisce qualcosa che sta oltre le emozioni. Oltre i pensieri. Oltre la mente. In quello spazio c’è solo spazio per il senso di compassione…e commozione, empatia, comprensione… lì c’è solo spazio per il non giudizio, per la gratitudine e per quell’Amore che prepara e predispone alla caduta dei veli.

Meditiamo.

Intanto, faccio pulizia e riordino… non solo in cucina, ma in quella vita che mi rimane.
Al rientro alla vita, metto alla prova le mie compagnie, e distinguo, col mio nuovo senso di discernimento. Lascio che le persone mi si svelino per ciò che realmente sono, accettando ora di vedere ciò che prima non vedevo, accecata com'ero dalle proiezioni e dalle idealizzazioni che la mia mente illusa proiettava sugli schermi dei miei veli dispiegati e, allora, avvolgenti. E scopro che la compassione ha un lato tagliente che recide quelle connessioni che portano fuori strada il mio essere e sentire… lascio andare ciò che non mi appartiene, lascio andare chi continua a coltivare l'illusione... ho avvisato, ho condiviso... con qualcuno a cui tenevo, inutilmente... E alla fine, devastata, reietta e incurante dei giudizi di chi non può o non vuole comprendere, mi ritrovo. E sono.
Sola.
Colonna sonora del momento: “Human” (The Killers), “Signal to noise” (Peter Gabriel), “L’ombra della Luce” (Franco Battiato), "Sacrifice" e "Sanvean" (Lisa Gerrard).
E in questa nuova solitudine, rinunciando ai grandi progetti di “risveglio” apparente e senza più colleghi al momento, ritrovo davvero, in questa vita semplice, il valore degli affetti.
La rete.
Chi mi conosce mi riconosce, adesso, al di là di tante parole e chiacchiere, anche se io stessa mi sento e mi percepisco diversa, trasformata in profondità, oltre un qualche punto di non ritorno.
La realtà è contagiosa, forse, anche quando si dichiara comunque soggettiva. Alle persone che amano, alle persone con il cuore pronto, non ho bisogno di dir nulla in più. In brevissimo tempo, qualche giorno o settimana, una rete di solidarietà mi sostiene, e per tutto ciò che è crollato o si è dissolto scopro che ciò che era stato costruito nel tempo, sulle solide basi dell’amorevolezza e della presenza, è un Tempio sicuro.

Ci metto mesi a elaborare questo evento. Qualcosa è cambiato, molto in profondità. Dopo un'esperienza del genere tutto è come azzerato, e molto, molto relativo. E se anche il cambiamento è avvenuto in un attimo, la sua integrazione ha richiesto tempo e cura.
Per tutti coloro che mi sono stati e mi sono vicini, ho una sola parola.
Grazie.

Il Senso del Dolore

Mi sono chiesta tante volte cosa mai mi affascinasse tanto nel mito di Keiron, il centauro Chirone, la radice del cui nome significa “mano”… egli, immortale, ferito da un dardo avvelenato il cui veleno impediva la guarigione della lesione e costretto pertanto a vivere nel dolore costante, ogni giorno, dopo essersi preso cura di sé e della propria ferita, metteva se stesso, il suo impegno e il suo tempo a servizio di quella parte di umanità che voleva apprendere da lui le arti della guarigione, coltivando la compassione innanzitutto… In questo mito, forse, pur essendo il centauro umano solo in parte, ritrovo l’essenza stessa del contatto umano profondo… Umanità è anche accettare la sofferenza, e imparare a contenerla senza temerla. Riconoscere che quella sofferenza a volte ci accomuna, ci consente di accrescere la sensibilità al “dentro”, che è l’unica cosa che ci fa davvero capaci di compassione, davvero capaci di comprenderci gli uni gli altri, senza dover fingere di farlo per “creare” contatto o spunti di conversazione. Sì, la sofferenza ha un senso, o forse è un senso, il "numero zero", che nasce ancor prima degli altri alla nascita, e spesso è l’unico che ci fa sentire che “ci siamo”. Il bello è poterci stare, col dolore e, standoci dentro, o insieme, scoprire di poter andare oltre, senza più bisogno di coprirlo o nasconderlo per farsi grandi, superiori… senza più negarlo, anestetizzandoci.

È inutile voler portare qualcuno là dove non sente ancora l’esigenza di andare. Il valore del rispetto, ultimamente, forse l’ho riscoperto così, attraverso l’accettazione del mio stesso dolore… Ho sofferto, comprendendo quanto a volte sono stata precipitosa nel voler soccorrere prima ancora che mi fosse chiesto aiuto. Mi sono lasciata trascinare dalla mia stessa empatia e ho voluto portare ad altri qualcosa che non era, al momento, richiesto, anticipando l’emergere della consapevolezza stessa del bisogno. E quando, per quanto in buona fede, non si rispettano i tempi altrui, inevitabilmente si lede anche il rispetto di se stessi per quanto ci si espone al rischio di venire aggrediti o, almeno, fraintesi. Perché ciascuno di noi erige le proprie barriere a protezione del dolore, ed è inutile forzare l’altro ad abbassare gli scudi per evitargli altro dolore… Sì, perché a volte poi il dolore rende prigionieri delle difese che scaturiscono di fronte ad esso, e l’auto-anestesia, lì per lì salutare nel primo momento di reazione, previene poi la guarigione della ferita in profondità.

Di fronte al mio stesso dolore, scopro che i miei bisogni, ancora una volta, sono stati la porta che mi ha condotta a soffrire. Il bisogno di rendermi e sentirmi utile, quel bisogno di colmare i vuoti, di fornire sostegno, di contenere e tenere insieme, di lenire il dolore altrui a ogni costo, quasi a voler presuntuosamente ripristinare un ordine, un’armonia, prima del tempo. Ho riscoperto, dolorosamente, quanto anche il vuoto ha un senso, quanto anche il dolore è utile e sia utile stare con quel dolore, per poterlo lasciare o per andare oltre.
Non ci sono scorciatoie per andare nei luoghi che contano, e non si può fare la strada per gli altri. Gli uncini del mio ego, del mio bisogno di riconoscimento, di essere io considerata utile, ora sono spianati a forza, o tagliati come si tagliano le unghie, che troppo lunghe si ricurvano e finiscono per ferire. Niente unghie adesso. Niente per aggrapparsi. Niente a cui appigliarsi, soprattutto quando l’appiglio è costituito dall’illusione di poter risolvere in assoluto ogni cosa accedendo a cosiddetti stati di trance. E che gli stati di trance siano evocati sapientemente dal linguaggio ipnotico, senza far ricorso a sostanze dall’esterno, poco importa. Se è vero che viviamo in una trance continua, se è vero che lo stato di trance può essere utile per facilitare a sua volta l'accesso alle risorse inconsce, è vero anche che abusare di questo termine, dei suoi significati sfumati e delle conseguenze che la trance usata per dar corpo alle illusioni implica, può creare scompensi…
Quindi sì all'equilibrio e alla moderazione... e niente più tributi, da parte mia, alla esaltata ed esaltante sovrapproduzione impropria di endorfine & Co., di quella droga interna che poi richiede continua esaltazione per generare neurotrasmettitori che ubriacano quanto gli allucinogeni (quelli che produciamo naturalmente bastano, non abbiamo bisogno di diventare trance-dipendenti per fingere di stare meglio di come ci sentiamo). “Basta volere”…e subito eccoci qua, signori e signore, alla fiera dello stato desiderato. Imbottiamoci di endorfine e fantasie, diamo potere alla mente senza cuore o ben travestita, alla volontà ad oltranza che dimentica la propria appartenenza a un ordine maggiore e più sano e saggio… Promuoviamo pure la nostra assuefazione a stati autoprodotti che ci rendono dipendenti dalla felicità… sì, perché poi se ne cercano altri di quegli stati, per sentirsi sempre più su… e alla fine si scopre che è pur sempre come pagare un pusher…illudendosi che “non possa nuocerci” quella droga interna, perché tanto è “roba nostra”… La fiera della vanità e della felicità a ogni costo, fasulla magari, purché ci distolga dal dolore e dalla nostra condizione di creature ahinoi così tanto, tanto relative e, alla fin fine, a volte impotenti.

Il corpo insegna, sempre. Non si sopprime il dolore, fisico o emotivo che sia, nemmeno quando ci si anestetizza. Si sopprime solo la nostra percezione, la nostra consapevolezza del dolore, ma la carne comunque soffre, e ce ne manifesterà le conseguenze. E che l’anestetico sia un farmaco o che sia un’illusione creata dalla mente, al corpo non fa differenza. Soffre comunque, silenziosamente, al di sotto della soglia della nostra consapevole percezione, e poi ne porta i segni, si contrae e si ritrae... È crudele rimandare un processo che cresce e cresce nel tempo, e più viene rimandato più ci lascia segni. Perché anestetizzare e negare il dolore a oltranza può esser come alimentarlo di nascosto.
A volte il dolore è davvero insopportabile, e non resta altra via che diluirlo, stemperarlo, potendolo compassionevolmente alleviare. Ma occorre tener presente che, nella maggior parte dei casi, è solo un rimandarlo, e presto o tardi quel dolore chiederà di essere rivisitato e rilasciato, per renderci liberi davvero. Occorre sapere che la soppressione del dolore ha un prezzo, e non sempre è prevedibile il modo attraverso il quale giungeremo a pagarlo. Dovremmo almeno sapere, soprattutto nei momenti di sofferenza emotiva, che è quasi crudele ostinarsi a negare quel dolore, o a ricoprirlo d’altro pur di scacciarlo via anzitempo, pur di cancellarlo dalla nostra visuale percettiva… crudele perché non fa che rimandarne e accrescerne le conseguenze esponendoci a un dolore ancor più grande…come sopprimere il sintomo anziché comprenderne o trasformarne la causa, incrementando nel frattempo l’estendersi della ferita… crudele anche se comprensibile, perché spesso il dolore davvero ci fa sentire impotenti. E forse per qualcuno è meglio sentirsi onnipotenti piuttosto che impotenti…forse, finché non ci si affida, finché non ci si arrende. Il potere della resa è ineguagliabile e supera ogni anestesia emozionale, ogni strategia e ogni creazione della mente. La resa alla Natura, chiamala così se vuoi, piuttosto che Dio, piuttosto che Ordine Universale, o Legge di Equilibrio… perché la Natura ha le sue leggi, che costituiscono l’umana architettura (sarà per quello che si dice che Dio creò l’uomo a propria immagine…)… E quando ci si arrende a quello che si è, e che si sente, che si prova senza mentire, allora la luce fa la sua irruzione nella nostra vita benedetta, e ci riscalda il cuore, e ci fa percepire un nuovo senso di esistere al di là delle apparenze. Allora finalmente ci permettiamo di essere noi stessi senza bisogno di farci qualcun altro, o qualcos’altro, da ciò che siamo. Allora compare la nostra essenza vera e reale, e regale.

Forse ci sono persone nelle quali un giorno il dolore è stato così grande da generare un ancor più grande rifiuto… da generare la grande, seduttiva illusione di poter ottenere qualunque cosa che basta volere… per ritrovarsi prigionieri di un mondo artefatto, di un castello di carte e cartapesta, di illusioni vuote e ingannevoli senza più meraviglia pur di non guardare alla realtà in cui ci si è sentiti soli, quella realtà percepita cruda e crudele, che non risparmia. Già, ci vuole forza, e anche coraggio, per poterci stare, col dolore. Ma forse quando si è bambini, dentro o d’età, forse quel dolore è troppo grande, e appare insormontabile…e allora si soccombe, cedendo al senso di annientamento. Allora, magari, è meglio farsi, o pensarsi, onnipotenti, e credere alla propria onnipotenza con tale convinzione da coinvolgere altri e farli sudditi. Per sentirsi meno soli.

A volte si perde il senso della realtà condivisa, e ci si distacca da tutti costruendo i propri sogni e trincerandosi nella propria torre d’avorio, perdendo anche il senso dell’amore che ci lega inevitabilmente gli uni agli altri quando si riconosce che tutto è Uno…a volte si perde il senso della propria responsabilità e ci si sente vittime di ciò che da soli si è generato, trovando magari un capro espiatorio a ogni costo. Altre volte invece si riesce a vedere il tesoro nascosto dietro e dentro ogni prova e ogni dolore, e allora ci si libera davvero da ogni dolore residuo, nella resa a quell’Ordine meraviglioso, a quel Flusso che ci porta sempre là dove siamo destinati…perché là siamo felici davvero, oltre la nostra volontà razionale, oltre il misero tentativo di supremazia dell’ego, oltre ogni capacità di immaginare… allineati con la nostra Natura più vera e profonda, così celata in noi da aver quasi paura di svelarla a noi stessi e al mondo, da mascherarla con altro che mai ne uguaglierà la bellezza originale… finché diverremo curiosi e coraggiosi abbastanza per sostenerne la meraviglia e l’unicità… e là potremo scoprire che la compassione sostiene l’attesa, e potremo aspettare fiduciosi il momento in cui ogni equilibrio verrà ripristinato, il momento in cui ogni ferità verrà riconosciuta già guarita, essendo stata il mezzo stesso attraverso il quale siamo giunti a scoprire chi siamo…

mercoledì 24 giugno 2009

Consapevolezza

Ultimamente mi trovo spesso a condividere con altre persone esperienze che hanno a che fare con il valore della consapevolezza. Personalmente, lo stato di maggiore consapevolezza lo vivo quando mi immergo nella preghiera intesa come celebrazione della vita, dell’esistenza, col massimo grado di presenza di cui sono capace, in tutti i sensi e attraverso tutti i sensi. È uno stato che sta tra la contemplazione della bellezza che pervade ogni cosa in quel momento e l’ascolto, o l’attenzione, verso ciò che in quel momento va fatto…o si fa… qualcosa che per me ha a che fare con lo stato di flusso, con il lasciar andare, con il lasciar accadere rimanendo testimone di quanto accade attraverso di me, dentro e fuori di me.
Questo stato di grazia, che mi permette di vibrare in quello che chiamo “spirito”, lo costruiamo attraverso il corpo, e in particolare attraverso la percezione. È la percezione del “dentro”, di ciò che accade nel corpo, attraverso il corpo, in profondità, che va a costituire lo spessore e la portata del nostro sentire, l’intensità di cui siamo capaci nel sentire noi stessi… Cos’altro possiamo sentire, in fondo? Tutto ciò che crediamo di percepire all’esterno, fuori di noi, non è altro che la rappresentazione interna di ciò che attraverso i sensi ci perviene…

Espandendo la nostra capacità di percepire possiamo espandere i nostri orizzonti e il nostro raggio di azione. La percezione è ciò che ci consente di accedere ai tesori nascosti del corpo, dell’anima, del mondo… Il corpo fisico è il veicolo che ci permette di entrare in contatto con il senso di sé, il senso di noi stessi, o addirittura di costituire lo strumento che ci permette di accedere alla coscienza, non più identificata nell’ego ingombrante che, quando anziché supportarci nella nostra ricerca del vero si impadronisce della nostra esistenza e la controlla, ci domina togliendoci ogni libertà di azione e scelta, condizionandole e assoggettandole a bisogni per lo più illusori e inessenziali. Sì, perché a parer mio l’ego non è altro che la somma delle esperienze che ci condizionano e ci portano e credere di essere molto più limitati di ciò che realmente siamo… L’ego ci separa dal riconoscere la nostra appartenenza alla natura divina, ci porta a voler dominare pur di distinguerci, perché teme profondamente la perdita del senso di identità… In realtà, il senso di identità reale va ben al di là di ciò in cui ci identifichiamo... È il senso di sé, della propria esistenza e del proprio esistere, costituito non dai riflessi di ciò in cui ci riconosciamo guardandoci attraverso gli occhi altrui, bensì attraverso l’affinamento delle nostre capacità di sentire e di sentirci nel presente, in profondità, portandoci a rispondere alla domanda “chi sono?...” con “...sono qui”.
Percepire, sentire… decifrare le percezioni senza giudicarle o pre-giudicarle ponendo su esse un’etichetta o interpretandole a ogni costo... lasciar scorrere liberamente il flusso della percezione nella presenza al “qui e ora”… Riconoscere se stessi come un centro di coscienza, consapevolezza e percezione al di là di ogni identificazione con l’ego per realizzare il proprio senso di sé reale

Possiamo solo espandere la nostra esperienza e rappresentazione interna del mondo. Bene lo afferma, dai tempi antichi, la frase “Conosci te stesso e conoscerai il mondo e gli dei” che, nei secoli, diventò “Conosci te stesso e conoscerai Dio”… I sensi sottili, orientati a captare le dimensioni impalpabili e profonde dello spirito, si affinano espandendo la nostra capacità di percepire, non tanto orientati all’esterno pur di raccogliere sensazioni e proiettarsi nelle azioni-reazioni ad oltranza… bensì piuttosto orientati all’interno…non tanto verso una sensibilità di superficie quanto “viscerale”, introcettiva, in grado di avvertire e riconoscere ogni sfumatura nel susseguirsi di variazioni, spesso leggerissime e impercettibili, che scandiscono lo scorrere del flusso percettivo medesimo… variazioni nel respiro, nel battito del cuore… nell’afflusso di sangue alle varie parti del corpo… nel sentire che distingue ogni organo interno… In questo sentire possiamo permetterci di provare emozioni e sentimenti che nutrono il nostro essere in profondità, e nello stesso tempo liberarci da quelle pesanti connotazioni emotive che spesso contraddistinguono in maniera distorta le nostre percezioni… possiamo permetterci di riconoscerle e lasciarle fluire, lasciandole andare, liberandole e liberandocene, quando necessario, attraverso il respiro, il gesto consapevole e liberatorio… consapevole e spontaneo, mai artefatto… E, soprattutto, mai frettolosi di coprire una sensazione, un’emozione anche spiacevoli o dolorose con qualcosa che apparentemente lì per lì sembra sollevarci, per poi inevitabilmente farci ricadere col tempo in ciò che credevamo di fuggire ed evitare…

La consapevolezza ci permette di trasformare davvero ogni esperienza e percezione spiacevole, portandoci al di là di essa attraverso l’esperienza del vivere, dell’appropriarci responsabilmente di ciò che proviamo e sentiamo, di ciò che manifestiamo in noi stessi, permettendoci di esistere e manifestarci in piena congruenza, senza bisogno di artifici per mediare o negoziare tra ciò che viviamo dentro e ciò che esterniamo al mondo, senza bisogno di sottostare al giudizio proprio o altrui… perché la consapevolezza ci porta necessariamente a non giudicare, a osservare, a riconoscere, a essere testimoni di ciò che stiamo sperimentando senza necessariamente interpretarlo come “giusto” o sbagliato”. Ci permette di provare empatia e compassione, e ci conduce verso il rispetto profondo della sensibilità e del sentire altrui, oltre che nostro.

Vivere in questo stato per la maggior parte del tempo è un obiettivo probabilmente impegnativo e magari lontano… tuttavia mi rendo conto che quando lavoro o comunque sto con le persone, e soprattutto quando danzo, è l’unico stato che mi permette di stare completamente con me stessa e con chi ho di fronte, o accanto, in quel momento.
Ultimamente ho riscoperto il piacere, l’intensità e la bellezza della danza, dopo averla sacrificata a lungo. Danzare è vitale per me… nel senso che è un modo per sentire e testimoniare la vita. Non ho bisogno del pubblico, quando danzo mi raccolgo completamente in questo sentire e mi esprimo attraverso esso, celebrando la vita che mi scorre dentro e che percepisco, attraverso me, dentro e fuori di me. Quando danzo in presenza di altre persone, mi accorgo che il mio danzare è comunque rivolto a qualcos’altro, che trascende il pubblico…come se percepissi l’infinito di cui sono parte fluirmi dentro e attraverso, prendermi e muovermi al ritmo della vita stessa per farmi una con gli altri, per portarmi con loro, i presenti, alla divina presenza di un sentire unico e più ampio, vasto, che sconfina in un’immensità che non riesco a spiegare, e posso solo sentire, e condividere… in una danza che oltrepassa i confini del corpo, e può farlo paradossalmente solo attraverso quel corpo che serve a trascendere il peso della gravità e porta, quando abitato in presenza e consapevolezza, alla piena realizzazione dello spirito che ci anima oltre il tempo.