sabato 27 giugno 2009

La Bellezza dentro...

Quante volte ho proiettato su altri visioni di ciò che avevo raggiunto in me stessa, riconoscendo anticipatamente cose che un giorno saranno, ma allora no, non erano ancora.

È proprio vero, ciascuno di noi può vedere e riconoscere negli altri e nel mondo ciò che ha esperito e conosciuto di se stesso e in se stesso… ecco come diventa facile individuare il bello e il buono intorno, quando lo si alberga in sé… e così pure proiettare nefandezze, quando le si ospita nell’animo. Le conseguenze, in ambo i casi, possono essere spiacevoli… e in ogni caso, preferirò sempre l’aver proiettato con fiducia un po’ di consapevolezza e bellezza in più su una persona con la quale ho camminato, piuttosto che l’averle tolto fiducia riducendola a un mero incidente di percorso, proiettandole addosso miei limiti e paure.
Sì, perché prima o poi quella persona ci arriverà lì dove l’avevo vista precorrendo i suoi tempi… perché la vita è perfetta, e tende alla perfezione in ciascuno di noi, e non c’è perfezione più grande del realizzare quell’amore che muove il mondo e al quale l’universo obbedisce, danzando…

A volte è vero, chi scorge la nostra bellezza e completezza prima che noi riusciamo a scorgerla o ad accoglierla da noi stessi ci fa quasi un dispetto… perché anche la bellezza ha un peso, più greve delle mancanze… perché non si può non amarla per quanto commuove e fa vibrare di pienezza a tal punto che si abbandonerebbe tutto il superfluo per realizzarla, quella bellezza intrinseca che fa amare tutto ciò che si vede e sperimenta… che fa contentare di poco per vivere felici e liberi davvero… Eppure a qualcuno fa paura. Allora è meglio fuggire, e coltivare status symbol rassicuranti, prima che la bellezza ghermisca e conduca alla resa come prima o poi farà, perché quella bellezza è l’anticamera della perfezione che ci attende…

Personalmente, aspiro a realizzare la capacità di vedere e percepire cose e persone per quelle che sono al momento, ma ogni tanto precorro ancora i tempi e pago, perché chi non è pronto a riconoscersi, ad uscire allo scoperto, può rivoltarsi e ferire e uccidere, cancellando l’esperienza o, peggio, rivestendola di intenzioni distorte che hanno lo scopo di rendere più accettabile il tutto secondo i proprio schemi.
È proprio vero, non possiamo far altro che interpretare il mondo filtrandone la visione e la percezione attraverso le nostre personali esperienze e, così presi dal nostro giudicare le intenzioni e le azioni altrui, presuntuosamente dimentichiamo la nostra parzialità. Ma già, siamo così ansiosi di far collimare le esperienze con il modello che abbiamo del mondo, e ci fa così comodo usare strumenti che potrebbero aprirci la mente per creare invece illusioni che appaghino il nostro progetto di vita assecondando nient’altro che un ego ingombrante… e pretendere poi che tutto ciò che incontriamo e viviamo riconfermi l’illusione… tanto che, quando qualcuno o qualcosa mette in crisi il nostro castello di carte false interferendo con l’illusione, piuttosto che guardare oltre le apparenze preferiamo annientare la fonte di interferenza stessa…
Dio, siamo così piccoli da attribuire agli altri intenzioni che alla fine svelano le nostre, senza ricordare che, forse, potremmo invece semplicemente interpellare chi ci sta di fronte, espandendo il nostro orizzonte e accedendo a un punto di vista, o a un sentire, più ampio…
Io sono, e aspetto con fiducia... in presenza

Ya Wadud, Ya Latif…

giovedì 25 giugno 2009

Nel Flusso




Amo danzare... quando danzo, vivo la bellezza dell'abbandono a un flusso che mi trasporta al di là di ogni volontà di movimento... e mi fa sentire e percepire, in ogni fibra del mio essere, parte di una corrente di compassione-con-passione infinita... tutto diventa facile, ogni gesto scaturisce dal sentire e non dal fare, ogni sforzo del vivere scompare e rimane solo il senso di appartenenza a un tutto che oltrepassa ogni confine individuale... E, al di là della mia identità attuale, in quel momento sento di esistere come manifestazione dell'Esistenza stessa, trasportata oltre la gravità del peso che normalmente ogni corpo incarna, incorporando la leggerezza che nasce quando si lascia alla Natura il timone e la guida.

Sì, cari, il corpo è un miracolo naturale, e conoscerlo significa comprendere quelle leggi che ci guidano proprio perché ci costituiscono e forniscono la trama e l’ordito alla nostra tessitura di esseri umani, laddove “umanità” assume per me un profondo senso e significato spirituale...

Mi sono ritrovata, negli ultimi tempi, a riflettere sul potere dell’abbandono che scaturisce dalla rinuncia al controllo ad ogni costo. Nel corso della mia vita ho passato alcuni periodi in cui mi sembrava indispensabile programmare ogni cosa, come se l’andamento degli eventi dipendesse dalla mia volontà. In certi momenti e in certi casi saper far questo (cioè programmare le cose come se tutto dipendesse da ciò) aiuta. La volontà è uno strumento prezioso e, di fatto, gran parte delle nostre azioni si compie proprio quando esercitiamo il potere della nostra volontà. La maggior parte delle volte è grazie alla volontà che ci orientiamo nella vita e scegliamo cosa fare e come farlo. Ma la nostra volontà è soggetta a restrizioni, le nostre restrizioni percettive che costituiscono il limite a ciò che vogliamo realizzare e agli orizzonti che ci poniamo. Già, possiamo “volere” solo ciò che rientra per noi nell’immaginabile, e l’immaginabile è costituito da ciò che comunque crediamo sia bene per noi sulla base di esperienze già vissute. Anche potendo immaginare oltre, immagineremmo comunque qualcosa di prevedibile…
Non possiamo andare, nemmeno con la nostra immaginazione, al di là di ciò che siamo in grado di percepire e concepire mentalmente…e questo già pone un limite a ciò che possiamo desiderare, o volere, per noi. Inoltre potremmo stancarci di mantenere per lunghi periodi il focus su ciò che vogliamo raggiungere, soprattutto quando le nostre richieste sono molto particolareggiate…o piuttosto condizionate dai nostri presunti bisogni, o desideri.

A volte il desiderio stesso è un limite, soprattutto quando anch’esso è condizionato, a nostra insaputa, da una libertà presunta o fittizia, fondata sulla convinzione che essere liberi significhi fare ciò che si vuole creando da sé lo scenario che farà da sfondo alle nostre azioni e allo sfoggio del nostro potere di ottenere obbedienza… quasi ci fosse, dietro tutto questo, una sorta di mancanza di fiducia verso la vita e un bisogno spasmodico di decidere a priori quello che dovrà accadere, forse per timore che accada qualcosa che può farci male, o al di fuori dal nostro controllo…

E, ancora una volta, il corpo è Maestro, e insegna. Nel nostro corpo infatti, nel nostro sistema muscolare, troviamo fibre che lavorano sotto il controllo della nostra volontà cosciente. Sono sì obbedienti, ma si stancano presto. Quando le sottoponiamo a un carico di lavoro continuo, subentrano tensioni e restrizioni che affliggono l’intero sistema congelandoci in una forma che ci mantiene in sembianze rigide e artefatte. Volere è faticoso, quando non ci si affida. Fortunatamente, nel nostro corpo ci sono anche fibre muscolari che non necessitano della nostra volontà cosciente per lavorare. Queste non si stancano, sono create appositamente per sostenere il nostro peso e dare supporto e sostegno a ogni movimento. Agiscono autonomamente, sulla base di ciò che siamo in grado di percepire. Nella nostra capacità di percepire coscientemente, di percepire sentendo, si riflette l’abilità di sostenerci.
E come percepiamo? Con i sensi, le porte di quella percezione che ci consente di muoverci senza più sforzo, sentendoci sostenuti in ogni gesto e azione. Il piede che sente e che palpa la terra… lo sguardo che sfiora gli spazi e gli oggetti, proietta le proprie luci accogliendo in sé forme e colori… l’udito che capta ogni suono e ci fa vibrare con esso… l’olfatto e il gusto, che ci portano a raggiungere ciò che possiamo felicemente assaporare… In tutto questo percepire, ci orientiamo nello spazio circostante trovando il sostegno in noi stessi.
E più affidiamo il peso alla terra con le porte dei sensi bene aperte, più ci scopriamo capaci di auto sostenerci… più espandiamo il sentire, più si chiarisce come e dove orientarci…

Il nostro corpo, ancora una volta, custodisce i segreti che ci consentono di comprendere noi stessi su altri piani. È la metafora vivente, carnale, o addirittura il territorio che ci fornisce la mappa della coscienza stessa di esistere. La volontà va sorretta dalla fiducia, e la fiducia implica l’abbandono. L’abbandono a un controllo superiore… E cos’è superiore alla volontà?

…Quel sentire profondo, quel percepire espanso al massimo grado dal quale scaturisce la certezza del flusso che ci guida, al quale arrenderci come a una corrente dolce e intensa che ci porterà là dove siamo attesi e destinati… là dove è il meglio per noi, là dove non giungeremmo nemmeno a immaginare di poter giungere, tanto è lontano…
Là, la nostra volontà si arrende a cuò che qualcuno chiama “volontà divina”… quasi un “controllo superiore” che non richiede sforzo di controllo alcuno, che ci chiede solo di lasciar fare, lasciar accadere, testimoniare osservando ciò che accade arrendendoci

Quando riscopro il potere di questa resa a un ordine più grande della mia piccola volontà razionale, e lo rispetto anche se non lo comprendo fino in fondo, allora vivere diventa facile come danzare... allora non ci sono più ostacoli…. c’è solo il libero fluire del miracolo e della meraviglia continui…

Rinascita

Ho sempre amato definire me stessa come una “ricercatrice” nell’ambito di quegli strumenti e di quelle esperienze che hanno come scopo principale quello di accrescere la consapevolezza di sé per approdare a una sempre maggiore espansione della coscienza stessa di esistere.
La mia ricerca mi ha portata a coltivare parallelamente sia il grande interesse per il funzionamento del corpo, della mente e della psiche umana, sia quello per il mondo dei simboli e degli archetipi. Seguendo questo binario, passando per una formazione incessante in tecniche di integrazione della struttura corporea e mentale (in chiave psicofisiologica con ampi risvolti antropologici) iniziata negli anni '80, sono giunta ben presto a confrontarmi con alcune antiche correnti appartenenti sia allo sciamanesimo sia alle Vie spirituali di tradizione, incontrando guaritori e Maestri spirituali di ambo i sessi. Grazie a questi incontri mi è stato possibile espandere notevolmente la mia mappa, visione e concezione del mondo, riconoscendone sempre più la soggettività e l’ulteriore possibilità di ampliarne i confini. Le persone straordinarie e i Maestri che ho incontrato mi hanno ulteriormente spronata ad andare oltre i limiti del pregiudizio e dell’apparenza, incentivando sempre più la rimozione di presunte “certezze” fideistiche restrittive che via via, una volta rimosse, lasciavano spazio a una inimmaginata libertà di pensiero e azione, basata su esperienze percettive sempre più sottili.
Scoprivo con sorpresa (prima di incontrarli pensavo che alimentassero la dipendenza, assecondando nelle persone il bisogno di credere in qualcosa mettendo se stessi su un piedistallo...) che i Maestri agiscono e “lavorano” umilmente per la libertà reale di ciascuno: prima per raggiungerla essi stessi, poi per aiutare le persone a scoprire e a realizzare la loro natura più vera, profonda e spesso celata, quella natura unica che contraddistingue ogni essere a prescindere dall’etnia, dallo status e dal “credo” (leggi “religione”…ma anche credenze e convinzioni) di appartenenza, andando oltre qualsiasi “credo” in sé. Questi esempi viventi di realizzazione e rispetto mi inducevano sempre più a lavorare sul “risveglio”, il risveglio della coscienza, il risveglio alla presenza nel qui ed ora, il risveglio al mio “senso di sé” più vero e profondo… perché, anche se non capivo esattamente cosa fosse questo stato che poteva portarmi al di là delle soglie e spoglie del mio cosiddetto “ego” (quello in cui ci si identifica, e che rischia di diventare una prigione nella quale ci si prende troppo sul serio) per sperimentare un sentire più ampio, sentivo che una volta sperimentato quel sentire, l’avrei riconosciuto.

Sentivo anche di non essere sola in questa ricerca. Avevo infatti il sentore di una “rete” cui appartenevo come molti altri, altri che come me condividevano intento e cammino. Forse ero solo un po’ troppo frettolosa di riconoscere chi intrecciava il suo percorso col mio, e magari anche di apprendere strumenti per accelerare il percorso, anziché seguire le orme di chi aveva già ottenuto completo successo nell’impresa. Pensavo di poter sostituire alla saggezza dovuta all’esperienza di vita la mia ferma volontà di riuscire… pensavo che, per vivere il risveglio della mia coscienza d’essere e l’espansione della mia consapevolezza, magari “contagiando” positivamente altre persone (da brava trainer e insegnante…) per condividere con esse queste nuove conquiste, bastasse accedere a quegli stati di coscienza “altri” e alterati che, attraverso la trance, Maestri, guaritori e sciamani sembravano “navigare” a piacimento.
Questo mi indusse, in un primo tempo, ad affrontare l’ipnosi come accesso facilitato agli agognati stati “altri” di coscienza e, infine, ad approfondire l’arte di comunicare con se stessi e gli altri attraverso la programmazione neuro linguistica. Mi sembrava di aver trovato una scorciatoia, o addirittura un'autostrada... comunque una strada comoda e veloce per accedere a quelle dimensioni della coscienza che potevano portarmi all’essenziale, al di là di ogni illusione…

Di fatto, stavo dando davvero molto spazio e importanza alle esperienze di trance, come se fossero veramente essenziali e determinanti allo sviluppo mio e delle persone in generale. Invece, l’esperienza di trance era solo una porta. Ormai credevo, grazie a quelle esperienze, di essere “sveglia”, credevo di essere “fuori” da Matrix, e capite cosa intendo se avete visto il film (il primo, anche solo quello. Se non l’avete visto, rimediate e capirete di cosa parlo...).
Mi sbagliavo.

Marzo 2009. Una Domenica come un’altra. Ero a casa mia in cucina, e mentre riordinavo ne approfittavo per “ripulire” anche la mia mente, alla ricerca di blocchi inopportuni, perché avevo da un po' di tempo la sensazione di “qualcosa di troppo”, o di stonato, dentro e intorno a me. Mi chiedevo cosa ci fosse, ancora, che ostacolava il flusso e frenava il libero corso degli eventi… il corso della realizzazione dei miei progetti nel lavoro, il corso della mia realizzazione come persona. Apparentemente, tutto sarebbe dovuto “filare liscio come l'olio”, e invece percepivo distonie e difficoltà che tuttavia non riuscivo a individuare distintamente.
Ero reduce dall'ultimo corso in pnl seguito oltreoceano e frequentato con alcuni colleghi, visto che l’entusiasmo di fronte al potere del linguaggio evocatore di stati alterati di coscienza mi aveva portata ad accogliere un’idea di collaborazione che sembrava potesse portare a grandi risultati in breve tempo. Mi era sembrato proprio un bel corso (e, in generale, mi sembrava un bel percorso), nel quale tutti noi avevamo vissuto stati di trance che portavano a volare alto, a percepire che tutto poteva diventare possibile… bastava volerlo, immaginarlo, sognarlo… e lo stato di esaltazione che ne seguiva pareva davvero più che piacevole… profondamente rigenerante, direi. Sembrava di toccare il cielo con un dito. Al seguito di quel corso, alcune idee e collaborazioni mi parevano ancor più che mai utili e proficue, e stavo dando energia a progetti che al momento mi sembravano davvero volti al “risveglio” della coscienza umana. Mi pareva proprio che fosse importante lavorare in un certo modo sulla mente, sui processi che, attraverso il linguaggio, incrementano certi cambiamenti nel modo in cui i pensieri vengono formulati e “lasciano il segno”… per quanto il pensiero sia in grado di generare, in effetti, emozioni e stati in grado di condizionare perfino il corpo.
A un tratto, mentre ero in piedi davanti al lavello della cucina, ho sentito un suono improvviso, in rapidissimo crescendo, farsi strada nel mio cervello lacerandomi i timpani. Indescrivibile, un urlo metallico, una sirena, un allarme assordante che mi stupiva soprattutto mentre mi rendevo conto che sembrava echeggiare solo nella mia testa… mi sono resa conto che stavo cadendo a terra senza alcuna possibilità di oppormi alla gravità, senza alcun controllo del mio corpo (prima di allora ero stata diverse volte sulle soglie dello svenimento senza mai perdere coscienza e controllo: me ne accorgevo da piccoli segnali da “pressione bassa”: vertigini, ronzii, palpitazioni, oscuramento della vista… mai, mai ero caduta così, prima d’ora. Semplicemente, mi sdraiavo, sollevavo le gambe e attendevo di riprendermi, cosa che avveniva puntualmente). Questa volta avveniva tutto troppo in fretta, senza preavviso, ed era qualcos’altro rispetto a ciò che conoscevo. Un solo pensiero, per cosa avrebbe trovato chi mi avesse cercata, mentre mi sentivo strappare via dal corpo, come se un’immensa mano afferrasse la mia coscienza e la estraesse repentinamente in un lampo dalla sommità della mia testa. Il mio corpo cadeva a terra, “io” venivo strappata e attratta supersonicamente verso l’alto, indietro in diagonale… buio totale, l’impressione di una velocità vertiginosa in una sorta di tunnel (che strano…da come lo descrivono nei libri e nei film, me lo sarei aspettato “in avanti”, non verso l’alto in diagonale)… una proiezione della mia coscienza scagliata verso una luce abbagliante in fondo, o meglio in cima…
Non c’è corpo “formale” in quella dimensione davvero “altra”, solo coscienza pura di esistere. Niente che assomigli ai pensieri, o alle percezioni “umane”, terrene. È “qualcos’altro” che posso descrivere, adesso, solo usando metafore e “come se”.

Mi ritrovo improvvisamente in uno…spazio? …Se fosse uno spazio e avesse colori, potrei dire che era di una purezza cristallina, tenue e abbagliante insieme. Qualcosa simile alla luce riflessa dei cristalli quando la scompongono in arcobaleni… Colori, se fossero tali, vivissimi, brillanti e delicati insieme… Io coscienza pura, pura presenza e consapevolezza. Né spazio, né tempo. Solo impressioni. Cioè qualcosa che si imprime indelebilmente, o forse…si svela? Perché è come veder cadere tutti i veli di colpo…tutte le illusioni svanite…dissolte, e rimane solo la realtà…cruda e forse crudele… Di colpo, fuori da Matrix…fuori…da ogni contenitore rassicurante…oltre il mio nome, il mio genere, il mio ruolo, la mia vita… oltre ogni definizione, limite o confine….e c’è solo il sentire puro, e la coscienza assoluta di ciò che sono al di là di ogni nome, e forma umana.

…Chi sono, da dove vengo, dove vado…
Io sonoquiora.
Scorre in un baleno il film della mia vita “ultima”, quella che fino a poco prima mi apparteneva, ciò con cui potevo identificarmi. Mi impatta il ritorno di ciò che fino ad ora, in questa vita di Monica, Monique, ho seminato. Percepisco una rete sottile e potente che mi connette indissolubilmente ad altri umani “sentire”, e distinguo. Oltre gli umani sensi, oltre al vedere perché non posso dire di “aver visto”… oltre al sentire, all’odorare, al gustare, al toccare… perché non si “sente”, né si “tocca” quel che provo in questa dimensione, lontana da ogni possibilità di descrizione…
Oltre gli umani sensi, mi rimane solo il senso delle relazioni umane.
Sorpresa. È come se nient’altro fosse rilevato o rilevante, non c’è nient’altro oltre a questo. Mi si svela, chiaro come il sole in pieno giorno, che nient’altro ci portiamo dietro oltre la vita terrena… solo il senso di ciò che abbiamo vissuto e condiviso, quell’esperienza che nasce dalle relazioni “vere”… E cade la maschera dei ruoli, finisce il gioco delle presunte grandezze, o presunzioni… e null’altro rimane, solo l’amore che abbiamo dato e condiviso… solo il confronto con le proprie intenzioni, e nemmeno coi risultati…
Dio, dove Sei?
Ti Sono dentro… Mi-Ti Sei dentro…
Oltre l’umana commozione, provo il senso di un’enormità incomprensibile, in questa rete… che tutto connette… e la sensazione… che la Vita serva proprio per colmare tutti quegli “spazi” tra le maglie della rete stessa, quei vuoti di conoscenza per le aree di coscienza e percezione ancora inesplorate… aree in cui l’amore ancora non è stato scoperto e percepito… e dato…
E in questo limpido stupore, l’impatto improvviso con un mondo paludoso e insieme arido, le sabbie mobili degli interessi, del potere, del successo facile, delle illusioni create nella trance e vendute come panacea… grazie ai giochi di un linguaggio sottile che scolpisce la mente e la riplasma, e quando riplasma solo il cervello crea altre illusioni con la pretesa di dissolverle, sovrapponendo benessere ricreato a malessere sopito… La mente mente, per quanto si lascia, ingenuamente, suggestionare.... Mi appare chiaro ed evidente, ora, come ogni risposta e capacità di comprensione si trovino oltre la mente, ben al di là di essa… e la chiave per raggiungerle sia l’espandersi della coscienza e della presenza a un sé che non dipende dall’identità terrena, ma definisce se stesso attraverso l’amplificarsi delle percezioni e del sentimento, e null'altro… uno stato detto anche presenza… e, per alcuni, sentire

Sento, sentosento e sono… prendo coscienza di tutta quella che vissuto come la “mia” vita, la rivivo in meno di un battito di ciglia… eterno... e mi ritorna tutto ciò che ho dato e ricevuto, e solo quello che ho dato conta, per quanto sono nuda di fronte alle intenzioni che hanno mosso ogni mio gesto, ogni parola, ogni azione verso chiunque, anche solo per un attimo, ha fatto parte della mia vita… come trovarsi di fronte alla verità finalmente cruda, svelata, senza filtri… senza più scuse…solo la Verità… solo ciò che è Vero… solo ciò che ha valore… solo le relazioni umane…senza interessi… nude anch’esse, come me.

Mi confronto con ciò che ha mosso ogni mio passo. Solo gli Amici contano, adesso.
Solo le buone compagnie, quelle che quando fai un salto saltano con te, chi prima, chi dopo… e cui resti accanto silenziosamente anche quando non saltano, pronta a consolarle quando si fanno male… quelle di cui ti prendi cura a prescindere dal se-mai si sono prese o si prenderanno cura di te… e quelle che ti stanno accanto quando hai paura di saltare e aspettano silenziose…e ti aiutano a rialzarti dopo ogni caduta… e nonostante le cadute…
In questa rete di connessioni, in queste relazioni non c’è spazio per la seduzione… c’è spazio solo per quell’attrazione che nasce dall’Amore e all’Amore conduce… solo quello ha un senso, come se fosse il solo senso che sopravvive alla morte. O che, di fronte alla morte, si presenta. Conta solo chi ho amato, e quanto. A chi ho dato senza riserve. Senza tenermi niente. Senza preservarmi.
E torna la palude, con le sabbie mobili di relazioni malsane e alla fine sterili, coi giochi di potere, le supremazie, le presunzioni.
È come se vedessi chiaro in ogni cosa, adesso.

Sei una goccia d’acqua… puoi scegliere di farti seccare al sole, e magari una piccola parte sopravvivrà e andrà ad aggregarsi alle nubi, e ricadrà da qualche parte sulla terra, senza più memoria… puoi scegliere di lasciarti assorbire dalla sabbia o dalle sabbie mobili dalle quali mai niente crescerà davvero, dando potere alle menzogne che avviluppano e trattengono dal volare veramente… puoi scegliere a quale corrente affidarti ricordando la tua Essenza e celebrando la tua Natura, ricordando chi sei, da dove vieni e dove vai…perché l’unico potere che abbiamo, noi piccoli, minuscoli granelli di sentire, è quello di scegliere a quale corrente appartenere, con quali Amici viaggiare…o forse, più che scegliere, riconoscere… sì, riconoscere a Chi apparteniamo…a noi stessi, alla “nostra” corrente, quella che ci guida e amplifica la nostra libertà di fluire, portandoci all’Oceano dove il nostro sentire, già durante il percorso, si fonde con altri senza confondersi… con i sentire affini, quelli che vibrano con noi… che fluiscono in un’unica Via e corrente, pur mantenendo il senso di una consapevolezza Una…
Io…sono…qui…adesso...

Discernimento, al di là delle illusioni e del desiderio di condividere a ogni costo ciò che mi guida, magari con chi invece percorre altre strade. Discernimento…

E poi all’improvviso qualcosa mi strappa a quella dimensione… mi risucchia giù, in un corpo che non risponde… solo quel fischio urlante nelle orecchie, ancora…mi lacera la mente già spezzata mentre riapro gli occhi, a terra, la testa rivolta a destra, lo sguardo fisso…vedo la “mia” casa…cerco d’istinto il battito del cuore… non lo trovo, al suo posto il frullo d’ali di un colibrì… poi il nulla.
Vengo meno ancora ai miei sensi umani appena riaccesi, mi sento spegnere del tutto, mentre ho il vago ricordo di non sentire nemmeno più il colibrì, di colpo, come se il frullo d’ali cessasse all’improvviso. La visione di ciò che mi sta intorno si riassorbe veloce in un puntino luminoso, come quando spegnevo il vecchio televisore dei nonni, da bambina… poi…
Nero. Buio. Spento. Tutti i sistemi azzerati. Mi “trovo” sospesa in un vuoto nero brillante. Niente pensieri, niente impressioni. Niente...emozioni? Sto…sono…il mio sentire…ancor più scarno. Essenziale. Sto con quello che mi appartiene, al di là di spazio e tempo. Qualcosa di infinitamente lontano, ancor più di prima, da ogni possibilità di descrizione.
Pura coscienza d’Essere.
Sto con ciò che ho incorporato in “quella” vita di Monica e forse altre, parallele….
Sono ciò che sono stata capace di sentire e provare, al massimo grado. Non negli stati esaltati della trance, non negli stati alterati della mente, non negli stati di ebbrezza da endorfine al massimo. No.
Sentimento. Ancor più di prima, sto nella semplicità assoluta. Sto negli stati quieti e dolcemente liquidi dell’Amore che ho amato, che sono stata capace di provare, e forse di trasmettere.

Non so come, i sistemi si riaccendono. Il cuore sembra passare di colpo da una “danza taranta” a un ritmo che mi sembra al limite del credibile, tanto mi pare assurdamente lento. Ma forse, mi dico, mentre il suono lacerante adesso è solo un sibilo che urla affievolendosi, è la mia percezione del tempo che è sballata…
Finalmente mi ritrovo nel corpo, e muovo gli arti a fatica, e mi sembra che ci voglia un secolo. Resto stordita, la testa mi duole in modo feroce, non so se è stata la botta della caduta o cos’altro. E il dolore non è l’unica cosa feroce che sento. Sento in me crescere la consapevolezza dell’inganno, che mi rende più feroce del mal di testa. L’inganno perpetrato da quella mente che mente, o che si lascia ingannare, e dalle menzogne alle quali essa crede. L’inganno dell'illusionismo che usa parole, gesti e incantamenti sottili per manipolare sensazioni ed emozioni facendo credere che i veli cadano, quando invece ci si sta solo dipingendo sopra immagini così soddisfacenti e degne di ammirazione da credere, poi, che quella sia la realtà vera e far passare la voglia di guardare oltre il velo stesso… un paesaggio fantasmagorico e allucinato al posto della Verità nuda. La mente che mente. Adesso lo so, lo vedo, lo sento, lo tocco con mano. È così programmabile, la mente… Peccato, per tutti quelli che mi hanno programmata nel tempo, consapevolmente o meno, in buona fede o meno, che un’esperienza del genere, come un qualsiasi fortissimo shock, deprogrammi il cervello e tolga ogni filtro apposto al sentire. Mi tornano alla memoria i cani di Pavlov, programmati perché i loro riflessi di salivazione fossero condizionati dal suono di una campanella. Anni di programmazione andati in fumo quando i poveri cani rischiarono di annegare. Salvati in tempo, avevano perso ogni condizionamento. Mi sento solidale con loro. E ringrazio. Cos’altro posso dire, o fare…?
Niente.
In realtà niente, perché ho vissuto un’esperienza talmente essenziale che non può essere spiegata e nemmeno descritta. Sono solo povere parole, o parole povere, queste. So solo che la sensazione più viva è che ciò che sta e rimane a livello mentale, anche coinvolgendo la nostra capacità di vivere emozioni e stati che arrivano a modificare il sentire corporeo, finché non coinvolge la struttura profonda (quel corpo che non a caso è stato indicato come il Tempio dello Spirito) resta un velo appiccicato su altri veli.

“Non ci sono scorciatoie per andare nei luoghi che contano” (anonimo).

Potremo essere i più bravi illusionisti, potremo convincere le persone a star bene, e perfino convincerle che tutto è possibile… non faremo altro che aiutarle a costruire illusioni su illusioni… come svegliarle, apparentemente, per farle invece passare da una Matrix a un’altra Matrix, magari più gradevole… e pur sempre una gabbia.
Cosa conta? ...è così soggettivo… cosa vogliamo “davvero”? Star bene ad ogni costo senza andare in profondità, accontentandoci della superficie rassicurante che può essere riverniciata con ogni colore… Oppure, semplicemente, sverniciare per far apparire il legno vero, col suo bel colore e calore naturale? Vogliamo continuare a sovrapporre facciate su facciate, restando sensibili al giudizio e all’approvazione altrui, o vogliamo affrancarci da tutto questo magari esponendoci alla critica, pur di scoprire e seguire la nostra Essenza e Natura unica, nel pieno rispetto di quella nostra e altrui?

Mai più manipolabile sarò, ora che sono stata faccia a faccia con tutte le volte che, consapevole o meno, ho manipolato e controllato e mi sono lasciata manipolare e controllare venendo meno a quel rispetto. Mai più controllabile da altri. Affido il “controllo” a Qualcosa che sento più grande di me, che non comprendo e so solo di aver sperimentato in questa esperienza di morte. Qualcosa di cui faccio parte, cui appartengo, o che forse mi appartiene. Il confine è labile, quando ci si sente nel flusso. Sparisce il senso dell’”io” e resta un “noi” che fa venire voglia di restare lì, perché quella è “casa”.

Eppure ritorno a questa Vita. Ancora. E vesto i panni di Monica, Monique, adesso. Senza più chiedermi chi c’è dietro, o dentro.
Ancora più forte di prima, il messaggio mi pervade. È la chiamata alla ricerca, come una vocazione. Ed è l’unica cosa che conta, adesso. Portare ad altri gli strumenti che mi hanno condotta qui, condividerli perché altri arrivino a questo punto (quelli che lo vorranno, ovviamente…i compagni di percorso e di flusso, insomma), senza bisogno di farsi venire una sincope per svegliarsi. E farlo nella grande, essenziale semplicità del “come viene, viene” e del “quando accade, accade”, per star fuori dalla trappola del sentirmi utile a ogni costo.

È possibile che io abbia sperimentato, così mi hanno detto, gli effetti di una sincope con fibrillazione e arresto cardiaco, anche se l’incredulità rimane di fronte al fatto che pare io mi sia rianimata autonomamente... sarà che ho seguito a suo tempo un corso di primo soccorso… e alla fine per fortuna faccio tutto da sola… o almeno mi salvo, da sola... o forse, piuttosto, è vero che non siamo mai soli. Mio figlio, infatti, sostiene che gli Elfi, le Fate e i Genii di casa mi sono saltati sulla pancia… è una visione un po’ fantasy del massaggio cardiaco, in effetti, e comunque, visto il contesto, regge... In ogni caso, qualunque cosa fosse, è stata un'esperienza. Intensa.

Miei cari tutti, il mondo della trance è una porta meravigliosa, che può anche condurre a quanto di più illusorio vi sia. Possiamo usare la trance per creare stati meravigliosi, e continuare con questi a coprire i veli pesanti con altri veli, leggeri, colorati, variopinti, cangianti, affinché mai ci venga voglia di sollevarli e guardare oltre, verso ciò che è più vero, verso quell’umanità che a volte è sofferenza, e sempre è gioia di condividere oltre le emozioni stesse quegli stati che solo il cuore, e mai la mente sola, comprende. Oppure possiamo usare quella porta per togliere illusioni, per far cadere i veli uno per uno, e riportarci all’essenziale, e lì possiamo farlo, certo, accettando umilmente di farci strumenti e di servire la causa del risveglio, quello “vero” (solo il nostro…), che non va così d'accordo con gli interessi e magari non ci premia con la fama, con l'esaltazione, col successo e col denaro facile e immediato. Matrix insegna. Un film, bella metafora. Il protagonista, Neo ("Neo-oNe" ovvero l’uno), non ringrazia nessuno lì per lì una volta sveglio. Il "traditore" suo antagonista, Cypher (da "sifr", che significa vuoto, zero… tutt’altro che presenza…), sceglie di tornare a dormire e a sfamare il sistema, pur di godere dell’illusione della Matrix. Il lavoro è lungo, e duro. Perché non si possono togliere i veli se prima non si è preparato il terreno rafforzando la struttura all’origine, quella che ci sostiene, che ci fa sentire ponte tra Cielo e Terra…
Quel corpo, Tempio dello Spirito, che non mente e non inganna mai. La mente è lo strumento “di passaggio”, raccoglie e ordina informazioni, e può essere ingannata. Il cervello, suo strumento, non distingue tra ciò che è immaginato e ciò che è percepito attraverso i sensi, e spesso il corpo riporta tracce di cose mai vissute e inculcate con sapienti induzioni. E con questo si può anche aiutare le persone a guarirsi, come ad ammalarsi. Basta evocare lo stato desiderato con le giuste induzioni, facendo leva con sollecitazioni opportune. Ma di fronte a uno shock, o semplicemente a un senso critico opportunamente vivo e vivace o risvegliato, capace di guardare oltre ciò che sembra e appare, solo ciò che è “vero” lascia il segno e perdura… solo ciò che è stato incorporato, con l’intensità che ci vuole per lasciare impresso il solco di un’esperienza reale della coscienza.
Nel corpo si scolpisce la nostra storia, quella che rimane alla coscienza e, forse (o veramente, per chi crede), sopravvive alla morte del corpo stesso. Il corpo che soffre, che suda, che geme, che ride, che abbraccia, che scalda, che gode, che freme, si ammala e guarisce… attraverso e oltre il pensiero e l’emozione, il corpo che incarna l’esperienza della coscienza pura.

Nella mia esperienza, tutto ciò che esiste e sopravvive alla morte è una parola sola. Umanità.
O, forse, Essere, o Essenza, intesi come essenziale. L’Uomo, ponte tra Cielo e Terra.
L’Uomo, archetipo Divino. L’essere umano, per quanto commisto e assimilato ad altre specie aliene, forse, o fatate, per una come me che crede nelle fate, nei geni e negli spiriti della natura, nonostante l’età... :-)
Tutto questo è comunque umanità, o meglio ancora, Natura. Umana, e Divina… comunque vivente.

Al mio “risveglio”, dopo quell’esperienza, mi è apparso chiaro il motivo per cui Shaykh Nazim an-Naqshbandi, un Maestro Sufi che incontrai nel 1995 (e altri con lui, soprattutto Buddhisti) diceva che gli “effetti speciali” generati da stati alterati di coscienza possono distrarre dalla ricerca del Reale. Diceva che il solo accesso per approdare al Divino e al reale senso di sé e di appartenenza al Tutto, oltre ogni illusione, è la porta del cuore. Non lo capivo completamente, credevo davvero che certe esperienze potessero espandere coscienza e conoscenza. Adesso credo di comprendere.
Il nostro cervello comunque “riveste” tutto ciò che viviamo con qualcosa che conosce, lo assimila a ciò che già ha vissuto… Se mi è possibile ricordare e raccontare qualcosa delle impressioni ricevute quando il cervello per pochi secondi forse si è “spento”, lasciandomi coscienza pura, è perché mi sono educata per anni a sentire e percepire attraverso il corpo e il cuore, a registrare ogni impressione che dal corpo arrivava al centro del petto, senza dare significati a ciò che sentivo. E lì, dal corpo al cuore, si percepisce qualcosa che sta oltre le emozioni. Oltre i pensieri. Oltre la mente. In quello spazio c’è solo spazio per il senso di compassione…e commozione, empatia, comprensione… lì c’è solo spazio per il non giudizio, per la gratitudine e per quell’Amore che prepara e predispone alla caduta dei veli.

Meditiamo.

Intanto, faccio pulizia e riordino… non solo in cucina, ma in quella vita che mi rimane.
Al rientro alla vita, metto alla prova le mie compagnie, e distinguo, col mio nuovo senso di discernimento. Lascio che le persone mi si svelino per ciò che realmente sono, accettando ora di vedere ciò che prima non vedevo, accecata com'ero dalle proiezioni e dalle idealizzazioni che la mia mente illusa proiettava sugli schermi dei miei veli dispiegati e, allora, avvolgenti. E scopro che la compassione ha un lato tagliente che recide quelle connessioni che portano fuori strada il mio essere e sentire… lascio andare ciò che non mi appartiene, lascio andare chi continua a coltivare l'illusione... ho avvisato, ho condiviso... con qualcuno a cui tenevo, inutilmente... E alla fine, devastata, reietta e incurante dei giudizi di chi non può o non vuole comprendere, mi ritrovo. E sono.
Sola.
Colonna sonora del momento: “Human” (The Killers), “Signal to noise” (Peter Gabriel), “L’ombra della Luce” (Franco Battiato), "Sacrifice" e "Sanvean" (Lisa Gerrard).
E in questa nuova solitudine, rinunciando ai grandi progetti di “risveglio” apparente e senza più colleghi al momento, ritrovo davvero, in questa vita semplice, il valore degli affetti.
La rete.
Chi mi conosce mi riconosce, adesso, al di là di tante parole e chiacchiere, anche se io stessa mi sento e mi percepisco diversa, trasformata in profondità, oltre un qualche punto di non ritorno.
La realtà è contagiosa, forse, anche quando si dichiara comunque soggettiva. Alle persone che amano, alle persone con il cuore pronto, non ho bisogno di dir nulla in più. In brevissimo tempo, qualche giorno o settimana, una rete di solidarietà mi sostiene, e per tutto ciò che è crollato o si è dissolto scopro che ciò che era stato costruito nel tempo, sulle solide basi dell’amorevolezza e della presenza, è un Tempio sicuro.

Ci metto mesi a elaborare questo evento. Qualcosa è cambiato, molto in profondità. Dopo un'esperienza del genere tutto è come azzerato, e molto, molto relativo. E se anche il cambiamento è avvenuto in un attimo, la sua integrazione ha richiesto tempo e cura.
Per tutti coloro che mi sono stati e mi sono vicini, ho una sola parola.
Grazie.

Il Senso del Dolore

Mi sono chiesta tante volte cosa mai mi affascinasse tanto nel mito di Keiron, il centauro Chirone, la radice del cui nome significa “mano”… egli, immortale, ferito da un dardo avvelenato il cui veleno impediva la guarigione della lesione e costretto pertanto a vivere nel dolore costante, ogni giorno, dopo essersi preso cura di sé e della propria ferita, metteva se stesso, il suo impegno e il suo tempo a servizio di quella parte di umanità che voleva apprendere da lui le arti della guarigione, coltivando la compassione innanzitutto… In questo mito, forse, pur essendo il centauro umano solo in parte, ritrovo l’essenza stessa del contatto umano profondo… Umanità è anche accettare la sofferenza, e imparare a contenerla senza temerla. Riconoscere che quella sofferenza a volte ci accomuna, ci consente di accrescere la sensibilità al “dentro”, che è l’unica cosa che ci fa davvero capaci di compassione, davvero capaci di comprenderci gli uni gli altri, senza dover fingere di farlo per “creare” contatto o spunti di conversazione. Sì, la sofferenza ha un senso, o forse è un senso, il "numero zero", che nasce ancor prima degli altri alla nascita, e spesso è l’unico che ci fa sentire che “ci siamo”. Il bello è poterci stare, col dolore e, standoci dentro, o insieme, scoprire di poter andare oltre, senza più bisogno di coprirlo o nasconderlo per farsi grandi, superiori… senza più negarlo, anestetizzandoci.

È inutile voler portare qualcuno là dove non sente ancora l’esigenza di andare. Il valore del rispetto, ultimamente, forse l’ho riscoperto così, attraverso l’accettazione del mio stesso dolore… Ho sofferto, comprendendo quanto a volte sono stata precipitosa nel voler soccorrere prima ancora che mi fosse chiesto aiuto. Mi sono lasciata trascinare dalla mia stessa empatia e ho voluto portare ad altri qualcosa che non era, al momento, richiesto, anticipando l’emergere della consapevolezza stessa del bisogno. E quando, per quanto in buona fede, non si rispettano i tempi altrui, inevitabilmente si lede anche il rispetto di se stessi per quanto ci si espone al rischio di venire aggrediti o, almeno, fraintesi. Perché ciascuno di noi erige le proprie barriere a protezione del dolore, ed è inutile forzare l’altro ad abbassare gli scudi per evitargli altro dolore… Sì, perché a volte poi il dolore rende prigionieri delle difese che scaturiscono di fronte ad esso, e l’auto-anestesia, lì per lì salutare nel primo momento di reazione, previene poi la guarigione della ferita in profondità.

Di fronte al mio stesso dolore, scopro che i miei bisogni, ancora una volta, sono stati la porta che mi ha condotta a soffrire. Il bisogno di rendermi e sentirmi utile, quel bisogno di colmare i vuoti, di fornire sostegno, di contenere e tenere insieme, di lenire il dolore altrui a ogni costo, quasi a voler presuntuosamente ripristinare un ordine, un’armonia, prima del tempo. Ho riscoperto, dolorosamente, quanto anche il vuoto ha un senso, quanto anche il dolore è utile e sia utile stare con quel dolore, per poterlo lasciare o per andare oltre.
Non ci sono scorciatoie per andare nei luoghi che contano, e non si può fare la strada per gli altri. Gli uncini del mio ego, del mio bisogno di riconoscimento, di essere io considerata utile, ora sono spianati a forza, o tagliati come si tagliano le unghie, che troppo lunghe si ricurvano e finiscono per ferire. Niente unghie adesso. Niente per aggrapparsi. Niente a cui appigliarsi, soprattutto quando l’appiglio è costituito dall’illusione di poter risolvere in assoluto ogni cosa accedendo a cosiddetti stati di trance. E che gli stati di trance siano evocati sapientemente dal linguaggio ipnotico, senza far ricorso a sostanze dall’esterno, poco importa. Se è vero che viviamo in una trance continua, se è vero che lo stato di trance può essere utile per facilitare a sua volta l'accesso alle risorse inconsce, è vero anche che abusare di questo termine, dei suoi significati sfumati e delle conseguenze che la trance usata per dar corpo alle illusioni implica, può creare scompensi…
Quindi sì all'equilibrio e alla moderazione... e niente più tributi, da parte mia, alla esaltata ed esaltante sovrapproduzione impropria di endorfine & Co., di quella droga interna che poi richiede continua esaltazione per generare neurotrasmettitori che ubriacano quanto gli allucinogeni (quelli che produciamo naturalmente bastano, non abbiamo bisogno di diventare trance-dipendenti per fingere di stare meglio di come ci sentiamo). “Basta volere”…e subito eccoci qua, signori e signore, alla fiera dello stato desiderato. Imbottiamoci di endorfine e fantasie, diamo potere alla mente senza cuore o ben travestita, alla volontà ad oltranza che dimentica la propria appartenenza a un ordine maggiore e più sano e saggio… Promuoviamo pure la nostra assuefazione a stati autoprodotti che ci rendono dipendenti dalla felicità… sì, perché poi se ne cercano altri di quegli stati, per sentirsi sempre più su… e alla fine si scopre che è pur sempre come pagare un pusher…illudendosi che “non possa nuocerci” quella droga interna, perché tanto è “roba nostra”… La fiera della vanità e della felicità a ogni costo, fasulla magari, purché ci distolga dal dolore e dalla nostra condizione di creature ahinoi così tanto, tanto relative e, alla fin fine, a volte impotenti.

Il corpo insegna, sempre. Non si sopprime il dolore, fisico o emotivo che sia, nemmeno quando ci si anestetizza. Si sopprime solo la nostra percezione, la nostra consapevolezza del dolore, ma la carne comunque soffre, e ce ne manifesterà le conseguenze. E che l’anestetico sia un farmaco o che sia un’illusione creata dalla mente, al corpo non fa differenza. Soffre comunque, silenziosamente, al di sotto della soglia della nostra consapevole percezione, e poi ne porta i segni, si contrae e si ritrae... È crudele rimandare un processo che cresce e cresce nel tempo, e più viene rimandato più ci lascia segni. Perché anestetizzare e negare il dolore a oltranza può esser come alimentarlo di nascosto.
A volte il dolore è davvero insopportabile, e non resta altra via che diluirlo, stemperarlo, potendolo compassionevolmente alleviare. Ma occorre tener presente che, nella maggior parte dei casi, è solo un rimandarlo, e presto o tardi quel dolore chiederà di essere rivisitato e rilasciato, per renderci liberi davvero. Occorre sapere che la soppressione del dolore ha un prezzo, e non sempre è prevedibile il modo attraverso il quale giungeremo a pagarlo. Dovremmo almeno sapere, soprattutto nei momenti di sofferenza emotiva, che è quasi crudele ostinarsi a negare quel dolore, o a ricoprirlo d’altro pur di scacciarlo via anzitempo, pur di cancellarlo dalla nostra visuale percettiva… crudele perché non fa che rimandarne e accrescerne le conseguenze esponendoci a un dolore ancor più grande…come sopprimere il sintomo anziché comprenderne o trasformarne la causa, incrementando nel frattempo l’estendersi della ferita… crudele anche se comprensibile, perché spesso il dolore davvero ci fa sentire impotenti. E forse per qualcuno è meglio sentirsi onnipotenti piuttosto che impotenti…forse, finché non ci si affida, finché non ci si arrende. Il potere della resa è ineguagliabile e supera ogni anestesia emozionale, ogni strategia e ogni creazione della mente. La resa alla Natura, chiamala così se vuoi, piuttosto che Dio, piuttosto che Ordine Universale, o Legge di Equilibrio… perché la Natura ha le sue leggi, che costituiscono l’umana architettura (sarà per quello che si dice che Dio creò l’uomo a propria immagine…)… E quando ci si arrende a quello che si è, e che si sente, che si prova senza mentire, allora la luce fa la sua irruzione nella nostra vita benedetta, e ci riscalda il cuore, e ci fa percepire un nuovo senso di esistere al di là delle apparenze. Allora finalmente ci permettiamo di essere noi stessi senza bisogno di farci qualcun altro, o qualcos’altro, da ciò che siamo. Allora compare la nostra essenza vera e reale, e regale.

Forse ci sono persone nelle quali un giorno il dolore è stato così grande da generare un ancor più grande rifiuto… da generare la grande, seduttiva illusione di poter ottenere qualunque cosa che basta volere… per ritrovarsi prigionieri di un mondo artefatto, di un castello di carte e cartapesta, di illusioni vuote e ingannevoli senza più meraviglia pur di non guardare alla realtà in cui ci si è sentiti soli, quella realtà percepita cruda e crudele, che non risparmia. Già, ci vuole forza, e anche coraggio, per poterci stare, col dolore. Ma forse quando si è bambini, dentro o d’età, forse quel dolore è troppo grande, e appare insormontabile…e allora si soccombe, cedendo al senso di annientamento. Allora, magari, è meglio farsi, o pensarsi, onnipotenti, e credere alla propria onnipotenza con tale convinzione da coinvolgere altri e farli sudditi. Per sentirsi meno soli.

A volte si perde il senso della realtà condivisa, e ci si distacca da tutti costruendo i propri sogni e trincerandosi nella propria torre d’avorio, perdendo anche il senso dell’amore che ci lega inevitabilmente gli uni agli altri quando si riconosce che tutto è Uno…a volte si perde il senso della propria responsabilità e ci si sente vittime di ciò che da soli si è generato, trovando magari un capro espiatorio a ogni costo. Altre volte invece si riesce a vedere il tesoro nascosto dietro e dentro ogni prova e ogni dolore, e allora ci si libera davvero da ogni dolore residuo, nella resa a quell’Ordine meraviglioso, a quel Flusso che ci porta sempre là dove siamo destinati…perché là siamo felici davvero, oltre la nostra volontà razionale, oltre il misero tentativo di supremazia dell’ego, oltre ogni capacità di immaginare… allineati con la nostra Natura più vera e profonda, così celata in noi da aver quasi paura di svelarla a noi stessi e al mondo, da mascherarla con altro che mai ne uguaglierà la bellezza originale… finché diverremo curiosi e coraggiosi abbastanza per sostenerne la meraviglia e l’unicità… e là potremo scoprire che la compassione sostiene l’attesa, e potremo aspettare fiduciosi il momento in cui ogni equilibrio verrà ripristinato, il momento in cui ogni ferità verrà riconosciuta già guarita, essendo stata il mezzo stesso attraverso il quale siamo giunti a scoprire chi siamo…

mercoledì 24 giugno 2009

Consapevolezza

Ultimamente mi trovo spesso a condividere con altre persone esperienze che hanno a che fare con il valore della consapevolezza. Personalmente, lo stato di maggiore consapevolezza lo vivo quando mi immergo nella preghiera intesa come celebrazione della vita, dell’esistenza, col massimo grado di presenza di cui sono capace, in tutti i sensi e attraverso tutti i sensi. È uno stato che sta tra la contemplazione della bellezza che pervade ogni cosa in quel momento e l’ascolto, o l’attenzione, verso ciò che in quel momento va fatto…o si fa… qualcosa che per me ha a che fare con lo stato di flusso, con il lasciar andare, con il lasciar accadere rimanendo testimone di quanto accade attraverso di me, dentro e fuori di me.
Questo stato di grazia, che mi permette di vibrare in quello che chiamo “spirito”, lo costruiamo attraverso il corpo, e in particolare attraverso la percezione. È la percezione del “dentro”, di ciò che accade nel corpo, attraverso il corpo, in profondità, che va a costituire lo spessore e la portata del nostro sentire, l’intensità di cui siamo capaci nel sentire noi stessi… Cos’altro possiamo sentire, in fondo? Tutto ciò che crediamo di percepire all’esterno, fuori di noi, non è altro che la rappresentazione interna di ciò che attraverso i sensi ci perviene…

Espandendo la nostra capacità di percepire possiamo espandere i nostri orizzonti e il nostro raggio di azione. La percezione è ciò che ci consente di accedere ai tesori nascosti del corpo, dell’anima, del mondo… Il corpo fisico è il veicolo che ci permette di entrare in contatto con il senso di sé, il senso di noi stessi, o addirittura di costituire lo strumento che ci permette di accedere alla coscienza, non più identificata nell’ego ingombrante che, quando anziché supportarci nella nostra ricerca del vero si impadronisce della nostra esistenza e la controlla, ci domina togliendoci ogni libertà di azione e scelta, condizionandole e assoggettandole a bisogni per lo più illusori e inessenziali. Sì, perché a parer mio l’ego non è altro che la somma delle esperienze che ci condizionano e ci portano e credere di essere molto più limitati di ciò che realmente siamo… L’ego ci separa dal riconoscere la nostra appartenenza alla natura divina, ci porta a voler dominare pur di distinguerci, perché teme profondamente la perdita del senso di identità… In realtà, il senso di identità reale va ben al di là di ciò in cui ci identifichiamo... È il senso di sé, della propria esistenza e del proprio esistere, costituito non dai riflessi di ciò in cui ci riconosciamo guardandoci attraverso gli occhi altrui, bensì attraverso l’affinamento delle nostre capacità di sentire e di sentirci nel presente, in profondità, portandoci a rispondere alla domanda “chi sono?...” con “...sono qui”.
Percepire, sentire… decifrare le percezioni senza giudicarle o pre-giudicarle ponendo su esse un’etichetta o interpretandole a ogni costo... lasciar scorrere liberamente il flusso della percezione nella presenza al “qui e ora”… Riconoscere se stessi come un centro di coscienza, consapevolezza e percezione al di là di ogni identificazione con l’ego per realizzare il proprio senso di sé reale

Possiamo solo espandere la nostra esperienza e rappresentazione interna del mondo. Bene lo afferma, dai tempi antichi, la frase “Conosci te stesso e conoscerai il mondo e gli dei” che, nei secoli, diventò “Conosci te stesso e conoscerai Dio”… I sensi sottili, orientati a captare le dimensioni impalpabili e profonde dello spirito, si affinano espandendo la nostra capacità di percepire, non tanto orientati all’esterno pur di raccogliere sensazioni e proiettarsi nelle azioni-reazioni ad oltranza… bensì piuttosto orientati all’interno…non tanto verso una sensibilità di superficie quanto “viscerale”, introcettiva, in grado di avvertire e riconoscere ogni sfumatura nel susseguirsi di variazioni, spesso leggerissime e impercettibili, che scandiscono lo scorrere del flusso percettivo medesimo… variazioni nel respiro, nel battito del cuore… nell’afflusso di sangue alle varie parti del corpo… nel sentire che distingue ogni organo interno… In questo sentire possiamo permetterci di provare emozioni e sentimenti che nutrono il nostro essere in profondità, e nello stesso tempo liberarci da quelle pesanti connotazioni emotive che spesso contraddistinguono in maniera distorta le nostre percezioni… possiamo permetterci di riconoscerle e lasciarle fluire, lasciandole andare, liberandole e liberandocene, quando necessario, attraverso il respiro, il gesto consapevole e liberatorio… consapevole e spontaneo, mai artefatto… E, soprattutto, mai frettolosi di coprire una sensazione, un’emozione anche spiacevoli o dolorose con qualcosa che apparentemente lì per lì sembra sollevarci, per poi inevitabilmente farci ricadere col tempo in ciò che credevamo di fuggire ed evitare…

La consapevolezza ci permette di trasformare davvero ogni esperienza e percezione spiacevole, portandoci al di là di essa attraverso l’esperienza del vivere, dell’appropriarci responsabilmente di ciò che proviamo e sentiamo, di ciò che manifestiamo in noi stessi, permettendoci di esistere e manifestarci in piena congruenza, senza bisogno di artifici per mediare o negoziare tra ciò che viviamo dentro e ciò che esterniamo al mondo, senza bisogno di sottostare al giudizio proprio o altrui… perché la consapevolezza ci porta necessariamente a non giudicare, a osservare, a riconoscere, a essere testimoni di ciò che stiamo sperimentando senza necessariamente interpretarlo come “giusto” o sbagliato”. Ci permette di provare empatia e compassione, e ci conduce verso il rispetto profondo della sensibilità e del sentire altrui, oltre che nostro.

Vivere in questo stato per la maggior parte del tempo è un obiettivo probabilmente impegnativo e magari lontano… tuttavia mi rendo conto che quando lavoro o comunque sto con le persone, e soprattutto quando danzo, è l’unico stato che mi permette di stare completamente con me stessa e con chi ho di fronte, o accanto, in quel momento.
Ultimamente ho riscoperto il piacere, l’intensità e la bellezza della danza, dopo averla sacrificata a lungo. Danzare è vitale per me… nel senso che è un modo per sentire e testimoniare la vita. Non ho bisogno del pubblico, quando danzo mi raccolgo completamente in questo sentire e mi esprimo attraverso esso, celebrando la vita che mi scorre dentro e che percepisco, attraverso me, dentro e fuori di me. Quando danzo in presenza di altre persone, mi accorgo che il mio danzare è comunque rivolto a qualcos’altro, che trascende il pubblico…come se percepissi l’infinito di cui sono parte fluirmi dentro e attraverso, prendermi e muovermi al ritmo della vita stessa per farmi una con gli altri, per portarmi con loro, i presenti, alla divina presenza di un sentire unico e più ampio, vasto, che sconfina in un’immensità che non riesco a spiegare, e posso solo sentire, e condividere… in una danza che oltrepassa i confini del corpo, e può farlo paradossalmente solo attraverso quel corpo che serve a trascendere il peso della gravità e porta, quando abitato in presenza e consapevolezza, alla piena realizzazione dello spirito che ci anima oltre il tempo.