mercoledì 24 giugno 2009

Consapevolezza

Ultimamente mi trovo spesso a condividere con altre persone esperienze che hanno a che fare con il valore della consapevolezza. Personalmente, lo stato di maggiore consapevolezza lo vivo quando mi immergo nella preghiera intesa come celebrazione della vita, dell’esistenza, col massimo grado di presenza di cui sono capace, in tutti i sensi e attraverso tutti i sensi. È uno stato che sta tra la contemplazione della bellezza che pervade ogni cosa in quel momento e l’ascolto, o l’attenzione, verso ciò che in quel momento va fatto…o si fa… qualcosa che per me ha a che fare con lo stato di flusso, con il lasciar andare, con il lasciar accadere rimanendo testimone di quanto accade attraverso di me, dentro e fuori di me.
Questo stato di grazia, che mi permette di vibrare in quello che chiamo “spirito”, lo costruiamo attraverso il corpo, e in particolare attraverso la percezione. È la percezione del “dentro”, di ciò che accade nel corpo, attraverso il corpo, in profondità, che va a costituire lo spessore e la portata del nostro sentire, l’intensità di cui siamo capaci nel sentire noi stessi… Cos’altro possiamo sentire, in fondo? Tutto ciò che crediamo di percepire all’esterno, fuori di noi, non è altro che la rappresentazione interna di ciò che attraverso i sensi ci perviene…

Espandendo la nostra capacità di percepire possiamo espandere i nostri orizzonti e il nostro raggio di azione. La percezione è ciò che ci consente di accedere ai tesori nascosti del corpo, dell’anima, del mondo… Il corpo fisico è il veicolo che ci permette di entrare in contatto con il senso di sé, il senso di noi stessi, o addirittura di costituire lo strumento che ci permette di accedere alla coscienza, non più identificata nell’ego ingombrante che, quando anziché supportarci nella nostra ricerca del vero si impadronisce della nostra esistenza e la controlla, ci domina togliendoci ogni libertà di azione e scelta, condizionandole e assoggettandole a bisogni per lo più illusori e inessenziali. Sì, perché a parer mio l’ego non è altro che la somma delle esperienze che ci condizionano e ci portano e credere di essere molto più limitati di ciò che realmente siamo… L’ego ci separa dal riconoscere la nostra appartenenza alla natura divina, ci porta a voler dominare pur di distinguerci, perché teme profondamente la perdita del senso di identità… In realtà, il senso di identità reale va ben al di là di ciò in cui ci identifichiamo... È il senso di sé, della propria esistenza e del proprio esistere, costituito non dai riflessi di ciò in cui ci riconosciamo guardandoci attraverso gli occhi altrui, bensì attraverso l’affinamento delle nostre capacità di sentire e di sentirci nel presente, in profondità, portandoci a rispondere alla domanda “chi sono?...” con “...sono qui”.
Percepire, sentire… decifrare le percezioni senza giudicarle o pre-giudicarle ponendo su esse un’etichetta o interpretandole a ogni costo... lasciar scorrere liberamente il flusso della percezione nella presenza al “qui e ora”… Riconoscere se stessi come un centro di coscienza, consapevolezza e percezione al di là di ogni identificazione con l’ego per realizzare il proprio senso di sé reale

Possiamo solo espandere la nostra esperienza e rappresentazione interna del mondo. Bene lo afferma, dai tempi antichi, la frase “Conosci te stesso e conoscerai il mondo e gli dei” che, nei secoli, diventò “Conosci te stesso e conoscerai Dio”… I sensi sottili, orientati a captare le dimensioni impalpabili e profonde dello spirito, si affinano espandendo la nostra capacità di percepire, non tanto orientati all’esterno pur di raccogliere sensazioni e proiettarsi nelle azioni-reazioni ad oltranza… bensì piuttosto orientati all’interno…non tanto verso una sensibilità di superficie quanto “viscerale”, introcettiva, in grado di avvertire e riconoscere ogni sfumatura nel susseguirsi di variazioni, spesso leggerissime e impercettibili, che scandiscono lo scorrere del flusso percettivo medesimo… variazioni nel respiro, nel battito del cuore… nell’afflusso di sangue alle varie parti del corpo… nel sentire che distingue ogni organo interno… In questo sentire possiamo permetterci di provare emozioni e sentimenti che nutrono il nostro essere in profondità, e nello stesso tempo liberarci da quelle pesanti connotazioni emotive che spesso contraddistinguono in maniera distorta le nostre percezioni… possiamo permetterci di riconoscerle e lasciarle fluire, lasciandole andare, liberandole e liberandocene, quando necessario, attraverso il respiro, il gesto consapevole e liberatorio… consapevole e spontaneo, mai artefatto… E, soprattutto, mai frettolosi di coprire una sensazione, un’emozione anche spiacevoli o dolorose con qualcosa che apparentemente lì per lì sembra sollevarci, per poi inevitabilmente farci ricadere col tempo in ciò che credevamo di fuggire ed evitare…

La consapevolezza ci permette di trasformare davvero ogni esperienza e percezione spiacevole, portandoci al di là di essa attraverso l’esperienza del vivere, dell’appropriarci responsabilmente di ciò che proviamo e sentiamo, di ciò che manifestiamo in noi stessi, permettendoci di esistere e manifestarci in piena congruenza, senza bisogno di artifici per mediare o negoziare tra ciò che viviamo dentro e ciò che esterniamo al mondo, senza bisogno di sottostare al giudizio proprio o altrui… perché la consapevolezza ci porta necessariamente a non giudicare, a osservare, a riconoscere, a essere testimoni di ciò che stiamo sperimentando senza necessariamente interpretarlo come “giusto” o sbagliato”. Ci permette di provare empatia e compassione, e ci conduce verso il rispetto profondo della sensibilità e del sentire altrui, oltre che nostro.

Vivere in questo stato per la maggior parte del tempo è un obiettivo probabilmente impegnativo e magari lontano… tuttavia mi rendo conto che quando lavoro o comunque sto con le persone, e soprattutto quando danzo, è l’unico stato che mi permette di stare completamente con me stessa e con chi ho di fronte, o accanto, in quel momento.
Ultimamente ho riscoperto il piacere, l’intensità e la bellezza della danza, dopo averla sacrificata a lungo. Danzare è vitale per me… nel senso che è un modo per sentire e testimoniare la vita. Non ho bisogno del pubblico, quando danzo mi raccolgo completamente in questo sentire e mi esprimo attraverso esso, celebrando la vita che mi scorre dentro e che percepisco, attraverso me, dentro e fuori di me. Quando danzo in presenza di altre persone, mi accorgo che il mio danzare è comunque rivolto a qualcos’altro, che trascende il pubblico…come se percepissi l’infinito di cui sono parte fluirmi dentro e attraverso, prendermi e muovermi al ritmo della vita stessa per farmi una con gli altri, per portarmi con loro, i presenti, alla divina presenza di un sentire unico e più ampio, vasto, che sconfina in un’immensità che non riesco a spiegare, e posso solo sentire, e condividere… in una danza che oltrepassa i confini del corpo, e può farlo paradossalmente solo attraverso quel corpo che serve a trascendere il peso della gravità e porta, quando abitato in presenza e consapevolezza, alla piena realizzazione dello spirito che ci anima oltre il tempo.

Nessun commento:

Posta un commento