venerdì 31 luglio 2009

Storie di ordinaria Manutenzione...

Oggi mi sento profondamente grata e commossa. Per come la vita è straordinaria, per quanto è generosa, per come e quanto le persone possono sorprendere con le loro azioni, i loro regali o, semplicemente, con la loro esistenza...

A volte mi sono chiesta come tutto sia cominciato. A volte mi sono chiesta come sono arrivata fino qui, fino al punto in cui mi trovo ora.
Sì, la mia storia di vita la conosco, ci mancherebbe altro... ma ci sono punti cruciali in questa storia, punti di svolta, e alcuni di essi si sono persi strada facendo nei meandri della mia memoria... e a volte mi sarebbe piaciuto, e mi piacerebbe, ritrovarli per ritracciare la strada, appunto, che mi ha portata fin qui vedendomi letteralmente cambiare forma, una volta...
A volte ho avuto l'impressione che più che svolte fossero tornanti... qualcosa che sembra far invertire la direzione di marcia, quasi... ma è solo un modo per poter salire... ascendere... verso altre vette... o forse discendere...verso altre profondità... comunque un modo per cambiare dimensione... Un po' come quando si scopre che, mentre si tentava di chiudere un cerchio, si è percorso un tratto circolare sì, ma il cerchio non si chiuderà mai perchè, di fatto, è una spirale...

Ho ricordi di me poco più che bambina con mille domande per la mente, che vertevano tutte più o meno sul senso e significato della vita, alle quali nessuno intorno sapeva rispondere. Da dove vengo davvero? E cosa ci sono venuta a fare, qui, e a che scopo?
Da brava "disadattata", con la magrissima consolazione di avere (forse...o, almeno, così mi dicevano...) un'intelligenza superiore alla media che allora, di certo, non sapevo come impiegare per migliorare la qualità della mia vita, alle soglie dell'adolescenza vivevo da reclusa, relazionandomi al minimo con i compagni di scuola e manifestando un rigetto totale per tutto ciò che era corporeo e connotava il mio essere in carne ed ossa, contrapponendolo a una visione spirituale un po' distorta, piuttosto dis-integrata e dissociata dalla mia realtà quotidiana. Studiavo con voracità (e con voracità mangiavo... ero una "pallina" di un metro e cinquanta centimetri di altezza per più di sessanta chili di peso..."si fa prima a saltarla che a girarle attorno"!), dipingevo e mi dedicavo alla musica per placare le domande che continuavano ad assillarmi, vorticandomi in mente giorno e notte. Non mi bastava. Allora mi rifugiavo in biblioteca e, quando mi stava stretta, in libreria, tuffandomi nei libri il cui titolo mi ispirava. Intorno ai quindici anni, anzichè preoccuparmi di collezionare fidanzatini come sarebbe stato forse naturale a quell'età, navigavo tra l'astrologia, che nella visione Junghiana ed Ermetica mi dava l'idea di un continuum di identità tra l'Uomo e l'Universo, e la filosofia orientale, con una predilezione spiccata per l'induismo e il buddhismo nelle sue varie versioni. Vagheggiavo l'illuminazione, sempre in modo distorto, tentando di ritirarmi dal mondo anzitempo, tanto non mi piaceva.

Paradossalmente, furono proprio alcune tra le tante le pagine scritte che divoravo a spingermi a uscire pian piano dal guscio di intellettualismo che mi proteggeva apparentemente dal mondo che allora percepivo nemico... pagine che mi ispiravano riflessioni e azioni, prodotti delle elaborazioni interiori che preludevano alla più profonda fase di integrazione che ne seguì, quando compresi il valore dell'esperienza concreta, la quale non poteva fare a meno di quella corporeità che mi consentiva l'esperienza stessa.
Dotata di una grande capacità immaginativa che mi permetteva di immedesimarmi rapidamente in ciò che incontravo tramite la lettura, avevo così tanto sviluppata la tendenza a "far mio" ciò che leggevo che, via via in breve tempo, dimenticavo la fonte dalla quale avevo attinto. Così, negli anni, di biblioteca in biblioteca, di trasloco in trasloco, di prestito in prestito, lasciavo o regalavo (perchè non sempre ciò che si presta ritorna...) alcune pietre miliari dei disvelamenti prodottisi nella mia coscienza durante la lettura, disvelamenti che avevano preparato il terreno a quelle esperienze concrete che mi avrebbero finalmente trasformata.
Sì, perchè fu la scoperta del corpo come strumento concreto, "reale", di esperienza psicologica e, oserei dire, spirituale, a permettermi di trasformarmi, o forse di svelarmi o, appunto, scoprirmi, lasciando emergere finalmente la natura che mi caratterizzava profondamente al di là del guscio di restrizioni fisiche, emotive e mentali nel quale mi nascondevo e che per lungo tempo mi aveva supportata.
La scoperta venne tardi, dopo i vent'anni, grazie ai dolori accumulati studiando malamente il pianoforte fino a un soffertissimo (è il caso di dirlo...) diploma. Per liberarmi da quei dolori fui costretta a fare i conti con la mia struttura fisica, e compresi vivamente che a nulla mi servivano tante speculazioni intellettual-filosofico-spirituali, visto che la mia mente non poteva sussistere avulsa dalla mia realtà fisica... quel corpo che mi rappresentava nel mondo, che mi permetteva di incamerare stimoli, percezioni ed esperienze sentendo, e di manifestarmi nell'azione (in una parola, vivere)...

Fu una scoperta dolorosa e potente, che mi spalancò le porte di un nuovo modo di vivere davvero, realizzandolo in quel qui e ora che prima di quel momento credevo un'astrazione. Era come nascere ...davvero, finalmente.
La scoperta, ovviamente, era stata ben preparata. E la preparazione era avvenuta tramite incontri davvero opportuni per quanto a volte apparentemente casuali, a loro volta preceduti da opportune letture.

Quante volte, in questi ultimi anni che hanno visto svolte ulteriori e, molto recentemente, una rinascita, mi sono chiesta quali fra i tanti, tantissimi libri da me letti in quella fase di preparazione che per me coincise con l'adolescenza e il periodo seguente, fossero stati i più significativi e illuminanti.
Sapevo di aver dimenticato, o più probabilmente rimosso, alcuni autori geniali e "scomodi" quanto lo era stato il dolore che pure mi aveva spinto alla svolta primaria, a quell'inversione di marcia (o, almeno, a quel grosso tornante...) che mi riportava al corpo e alla vita dopo anni di tentativi di autodistruzione perpetrati nel nome di uno spirito preteso e presunto al di là della vita stessa.

E proprio ora, in questi ultimi giorni e settimane che mi hanno vista interrogare su cosa e come mi ha permesso di arrivare fin qui, così come sono adesso... perchè me lo sono chiesto spesso, dal 1 marzo (un'altro tornante... e che tornante! Sono "tornata" per miracolo... vedi "Rinascita" ... si trova nell'indice...)... proprio ora, uno di quei libri ritorna... o dovrei scrivere: quel libro ritorna...
Perchè se c'è stato un libro che adesso, rileggendolo, riconosco di aver rimosso per quanto mi aveva toccata, colpita e sconcertata, che ha continuato a lavorarmi dentro per anni in modo subliminale tanto da trasformare radicalmente la visione e percezione di me stessa e del mondo, e da indurmi perfino alla scelta di un soprannome del quale solo adesso, rileggendo il libro da capo a fondo, ho riconosciuto l'origine e il motivo, quello è Lo Zen e l'Arte della Manutenzione della Motocicletta.

Rileggendolo in questi giorni, pagina dopo pagina, mi sono ritrovata a piangere non una volta sola. Perchè è come se più di vent'anni di storia, la mia storia di vita, della vita che riconosco dai giorni della scoperta di me, ritrovassero finalmente ordine.
Resto ancora una volta sconcertata da quei processi attraverso i quali quando una cosa è troppo per essere integrata al momento in cui si presenta, eppure viene riconosciuta come fondamentale, viene serbata in qualche luogo recondito nell'intimo, e da lì rilascia lentamente i suoi principi... guidandoci subliminalmente nella direzione dovuta...quella di ciò che dobbiamo a noi stessi...

Qual è la differenza tra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa? In che misura ci si deve occupare della manutenzione della propria motocicletta?...

"La vera motocicletta a cui state lavorando è una moto che si chiama voi stessi. La macchina che sembra 'là fuori' e la persona che sembra 'qui dentro' non sono separate. Crescono insieme verso la Qualità o insieme se ne allontanano."

A chi non ha letto questo libro di Robert M. Pirsig probabilmente queste frasi non diranno granchè. O, forse, muoveranno la curiosità di leggerlo... Adesso, rileggendo queste frasi, mi ricordo del momento in cui smisi di delegare ad altri la cura di me stessa, prendendomi amorevolmente la responsabilità di quella cura e della crescita verso quella Qualità che sostiene, guida e orienta il mio viaggiare... anche se l'ho chiamata e la chiamo in mille altre maniere, è proprio quella Qualità che mi permette di sentirmi presente e lasciarmi andare al fluire... oltre i confini, al di là di ogni distinzione...
Grazie, Antonio. Non saprai mai quanto avevi ragione dicendo che consigliarmi di (ri-) leggere quel libro (e di leggere il seguente) era il più bel regalo che mi potessi fare.

...da più di vent'anni, gli Amici mi chiamano "Mu"...

giovedì 23 luglio 2009

Metafore, Verità, Risvegli...

Lei era minuta, diafana e sottile, tanto che a volte sembrava non appartenere del tutto a questo mondo. In tanti la chiamavano “Fata”, e così noi la chiameremo. Amava le verdi montagne, così ricche di alberi, prati, ruscelli e cascate. Viveva del contatto con la Natura: la natura circostante, la propria natura, la natura ultima e reale di ogni cosa che le si svelava in quei momenti in cui si concedeva d’esser con se stessa… Da sola o in compagnia, quando era in quel contatto, lì si ritrovava e ritrovava l’essenza della vita… lì, libera, danzava, come danza ogni particella di quella che chiamiamo “materia” o, talvolta, “energia”, sempre consapevole dell’illusione che rende necessario dare un nome alle cose e credervi come se esistessero realmente separate dal tutto per farne esperienza.
Aveva memoria di dimensioni altre, più leggere, luminose e trasparenti, più prossime al reale. Quei ricordi le davano un senso di casa e appartenenza, più di quanto percepisse di appartenere a quel mondo in cui ora si manifestava.
A volte sentiva nostalgia del condividere profondamente quel senso di presenza e consapevolezza che potevano permettere a chiunque di andare oltre le mere ed effimere apparenze. Nonostante sapesse di custodire alcuni segreti della natura della quale era parte e ne portasse i segni nelle sembianze e movenze del corpo, soleva condividere il condivisibile nell’ascolto e nella comprensione, e amava, riamata, quella specie umana che sembrava possedere le chiavi della comprensione dell’Universo, anche se spesso pareva non ricordarsi più d’averle. E quando si incontrava con il muro dell’assenza da sé che coincideva col dimenticare la natura reale dell’essere, rimpiangeva la dimensione sottile alla quale sentiva che sarebbe potuta tornare una volta compiuta la missione terrena… una promessa tanto antica che nemmeno ricordava il tempo in cui l’aveva formulata: riportare ciascuno alla Natura, alla presenza e al ricordo della propria natura reale, risvegliando a quella dimensione nella quale tutti gli esseri sentono di comunicare davvero, ovvero vivono in comunione

Un giorno come tanti incontrò un Uomo. L’Uomo era molto sorridente e mostrava di possedere conoscenza. Sembrava proprio uno di quei rari appartenenti alla specie umana che sapevano comprenderla fino in fondo. Si comportava come se conoscesse i segreti che lei custodiva e che la segnavano, si comportava come si comporterebbe, forse, un Mago. L’Uomo aveva un suo seguito e, nonostante il seguito, sembrava molto solo, come se ospitasse in sé un vuoto apparentemente incolmabile.
La Fata provava sempre un sottile disagio quando si trovava davanti a un vuoto, e la propria natura empatica come l’acqua la portava naturalmente a impegnarsi a colmarlo, come una ferita da rimarginare. Si lasciò catturare da quel vuoto e dall’incanto sottile che l’Uomo sprigionava. Egli evocava immagini potenti, e a lei tutto questo parlava di magia… quasi un ritorno a quella che per lei era casa. In quella compagnia, pensò la Fata, sarebbe stato più semplice e breve portare a compimento la missione. Tanto più che l’Uomo dichiarava di avere il di lei medesimo obiettivo, quello di rendere ogni creatura più presente, risvegliata, consapevole di se stessa e dei propri doni e talenti.

Per lei, la vita scorreva tra il verde e l’acqua che la rigeneravano, mentre lui sembrava prediligere il clima secco e asciutto del deserto… o meglio, lui dichiarava, quello era il clima in cui aveva sempre vissuto… e asserì di esser pronto a seguire la Fata nella Natura che le dava vita pur di condividere la missione comune. Lei ne fu entusiasta, vicino a quell’Uomo sentiva nascere in sé il desiderio di condividere la missione sempre più, per poterla al più presto portare a compimento guadagnandosi il ritorno alla dimensione sottile che sentiva essere la sua reale dimora. Lui, forse, più che un Mago, era ai di lei occhi un Genio del deserto, come quello della lampada di Aladino, e sapeva incantarla con le parole e con gesti sapienti e suadenti, promettendo che ogni desiderio sarebbe stato esaudito. Presto la convinse che la natura nascosta e solo a lui conosciuta in un luogo segreto del proprio deserto sarebbe stata per lei ancor meglio delle verdi montagne consuete, delle quali le acque e il verde la nutrivano. La Fata lo seguì fiduciosa. Lui le descrisse paesaggi meravigliosi, montagne nemmeno mai sognate, cascate e polle d’acqua, le più fresche e rigeneranti, in mezzo a macchie di rigogliosissima e lussureggiante vegetazione… e intanto la conduceva verso i luoghi cantati e decantati. Lì si insediarono, col di lui seguito, per incantare folle di passaggio e stanziali, descrivendo loro i passi presunti del risveglio alla vita reale, testimoniato da lei che ne mostrava alcuni segni.

Passava il tempo, e la Fata ormai vedeva con gli occhi del sapiente incantatore… ma presto si accorse che qualcosa non andava in lei.
Di fronte a lei c’erano le oasi più floride e ricche che potesse aver mai desiderato… le acque più accoglienti e rigeneranti… ma perché, allora, sembrava non riuscire ad attingervi? E perché mai lì sentiva venir meno le forze, si sentiva prosciugare sempre più in quei luoghi che avrebbero dovuto essere per lei fonte di vita? Perché le sue ali e la sua pelle avvizzivano, e il corpo le bruciava come se fosse stato esposto al più rovente e arido calore mai sopportato?... Lui la esortava: era solo questione di abitudine, diceva… agli occhi di lui, lei stava compiendo un salto, doveva solo smettere di guardare al passato e ampliare la sua visuale, il suo orizzonte, lasciandosi alle spalle ciò che aveva vissuto e amato prima… era lì al servizio di una buona causa, e il loro sodalizio avrebbe fruttato il coinvolgimento di tante più persone… doveva solo guardare le cose da un altro punto di vista, cioè come le vedeva lui. Lei gli credette ancora, e resistette quanto più poteva… finché un giorno, giunta allo stremo delle forze, si sentì mancare, come se il cuore le si fermasse in petto, e cadde a terra sentendosi morire. E mentre cadeva, solo allora, finalmente, sentì i suoi occhi spalancarsi di attonita meraviglia, e vide davvero.

Intorno a sé solo rocce, e sabbia, sabbia rovente che incontrava il cielo in ogni orizzonte. Il deserto la circondava senza ombra d’acqua né di verde: non v’era oasi alcuna, ma solo arida desolazione.

E allora comprese: si fidava così tanto di quell’Uomo, gli aveva così tanto creduto che solo il senso di morte, il pericolo occorso alla sua vita, l’aveva risvegliata al vero. Le era stato concesso il privilegio di morire prima di morire… Perché alla fine, quando la vita sembra sfuggire quasi fosse giunta al suo termine, tutti i veli cadono dagli occhi e la verità svela se stessa.

Esausta e prosciugata, si rese conto che la sua mente e i suoi occhi si erano lasciati ingannare dalle lusinghe del cammino facile e breve, ma il suo corpo le aveva svelato la verità, e il reale ora si imponeva. L’oasi decantata altro non era se non un miraggio, un’illusione… Ora contava solo far ritorno alla Natura che portava nel cuore, alla natura propria, alla natura che garantiva la vita e l’esistenza: quella era casa. Raccolse le poche energie rimastele, e col pianto nell’animo disse all’Uomo che no, non poteva restare… ma non lo avrebbe mai lasciato solo, nonostante si fosse sentita ingannata… avrebbe continuato a stargli accanto per il bene del sogno comune durante il giorno, e dal tramonto all’alba sarebbe ritornata al verde e all’acqua, a celebrare la Natura per rigenerarsi e trarre quella vita che le avrebbe permesso di continuare la missione al di lui fianco.

Ingenuamente, lei pensava che l’Uomo avrebbe colto il segnale e accolto il di lei risveglio come un’opportunità per uscire egli stesso, come già il Mago di Oz seppe fare, dalla trappola di una vita virtuale, fatta ad arte per dare potere a un’immagine artefatta di sé, costruita forse per paura o solitudine, forse per rimarginare un’antica ferita, forse per celebrare una pretesa e vanitosa autorità, forse per esercitare una supremazia e un controllo insensati e inutili agli occhi dell’amore, della compassione e di quell’Ordine Divino che tutto comprende. Non sarebbe stato meglio raggiungere il cuore degli altri mostrando se stessi davvero?
Ma egli non tollerò di vedere svelato l’inganno. O forse non sopportava che qualcuno lo mettesse di fronte all’illusione, al miraggio al quale lui stesso mostrava di credere e assoggettarsi. Troppo spesso, infatti (solo ora la Fata vedeva), più che risvegliare, lui aveva indotto altri, nel seguito e tra la folla, a costruire miraggi e illusioni, a dare potere alle lusinghe dell’ego attraverso la mente, in nome di una propria allucinata visione… una visione che lo vedeva potente, unica guida di un ordine virtuale e artefatto, riconosciuto agli occhi di lui solo e di chi vedeva attraverso i di lui occhi.
Di fronte alla Fata, ormai conscia e consapevole, ormai in grado di discernere, l’Uomo svelò un aspetto di sé che lei non poteva immaginare e non aveva potuto riconoscere, giacché riconosciamo negli altri solo le cose che ci appartengono… Per lui, lei avrebbe dovuto rinnegare la natura e la vita, e piegarsi al deserto. Lei non si piegò, e riconfermò la sua promessa, scegliendo il risveglio al reale. Allora lui rinnegò ogni proposito e ogni affetto, e allontanò la Fata insinuando ciò che solo il di lui animo albergava.

Ciò che a lei più dispiacque in quel momento fu di accorgersi che lui stava tentando di distruggerla con le menzogne, rivestendola di epiteti ingiuriosi coi quali proiettava su lei ciò che, probabilmente, a lui e a lui solo apparteneva.

Alla Fata rimasero i segni anche di quell’esperienza, come un risveglio ulteriore. Grata alla vita ed ancor più grata alla morte che l’aveva sfiorata per svegliarla, tornò al suo compito con umiltà ancor più grande, senza più rimpiangere una casa che ora sapeva di portare ovunque con sé, in sé, nel suo cuore, consapevole ormai che non vi sono scorciatoie per andare nei luoghi che contano.

Ripensando all’incontro con quell’Uomo, grazie al quale aveva compreso che nulla ha valore se non la vita reale che ci è data, la cui natura è bene riconoscere, preservare, rispettare come il più prezioso dei beni, alla Fata un dubbio rimase… Non sapeva dire se egli fosse stato puro in principio, e poi vittima di forze oscure da lui stesso consciamente o inconsciamente attratte o messe in gioco, richiamate come pericolosi alleati dal crescente interesse per il potere… O se davvero la brama di potere e controllo fossero in lui fin dall’inizio e lo accecassero al punto di portarlo a rinnegare l’appartenenza a un Ordine più grande e naturale pur di distinguersi fra gli altri, facendolo sentire in diritto di disporre delle altre persone giocando a piacimento in nome di una sua pretesa supremazia… O magari...magari lui aveva solo recitato la sua parte, il suo ruolo, per portarla a quella nuova comprensione e consapevolezza di sè... E chissà cos’era il vuoto che lei avvertiva in lui all’inizio… forse in quel momento lui era stato lo specchio del vuoto che lei finalmente aveva colmato trovando in se stessa il senso di cuore che è casa… o forse in lui v’era uno spazio che apparentemente né la compassione, né l’empatia, né l’amore altrui avrebbero mai potuto colmare se non sostenuti forse dall’umiltà che conduce al rispetto per l’Ordine e la Natura propria e altrui… Alla fine, poco importava… Forse, a suo tempo, anche lui si sarebbe svegliato, se necessario… o forse il deserto sarebbe stato per sempre la sua casa poiché, per alcuni, miraggi e illusioni contano quanto per altri vita e amore in altre forme… e ciò va solo accettato… In fondo, sarebbe bastato che lui avesse riconosciuto e rispettato la natura differente di lei, che per natura già faceva altrettanto, senza pretendere di usarla e assoggettarla al suo regno attraverso l’inganno… forse…
Di certo, nella di lei visione, i loro due mondi così differenti si sarebbero potuti compenetrare sotto un cielo comune, quello dell’Ordine naturale e divino che tutto abbracciava e comprendeva… ma a lui ciò non sembava interessare. Di certo non ora, e forse mai. E, di certo, prestare attenzione ai dubbi a lei non sarebbe servito, e ascoltare le menzogne nemmeno.
Meglio il silenzio, e la verità per proteggersi.
La Fata lasciò per sempre il deserto e tornò alla sua natura… viva, rigenerata, rigenerante.

domenica 19 luglio 2009

Teatro

Che dimensione meravigliosa il teatro...non dico il teatro di tutti i giorni, quello che consapevolmente o meno facciamo recitando nella vita i nostri ruoli come da copione, prevedibili in ogni reazione a meno che non lavoriamo incessantemente sulla presenza e sulla consapevolezza di ciò che guida ogni nostro gesto, parola, pensiero, emozione, sentimento... No, dico il teatro nella sua dimensione di magia, quello che ci dà modo di essere così veri al di là di ciò che già conosciamo di noi, facendoci provare, sperimentare, vivere qualcos'altro che va oltre quell'ego piccino, banale e ristretto che mai basterà a chi siamo davvero... un'altro tempo e ritmo, altri spazi e luoghi dell'anima... aperti all'imprevisto e imprevedibile...
Che meraviglia stupirsi continuamente lasciando scorrere il flusso del sentire, consci solo del fatto che qualcosa di nuovo sta accadendo, e a noi resta soltanto osservare cosa ...e come... si fa...
Sono stata lontana da questa magia per lungo tempo, tutta presa da altro, e adesso è la magia che mi riprende con sè... Piccole cose, intanto... che suscitano in me grande entusiasmo... e vita...

Grazie, Paola...
Grazie, Francesca...

martedì 14 luglio 2009

Magia della Presenza

"Una donna, rimasta vedova improvvisamente, vedeva con disperazione pian piano esaurirsi tutte le risorse lasciatele in gestione. Nonostante i tanti possedimenti, sembrava che nell’enorme tenuta tutto andasse a rotoli: i campi, il bestiame, gli affari… tutto andava lentamente e inesorabilmente in rovina.
Una notte, mentre piangeva in silenzio chiedendosi come fare perché tutto ciò cambiasse e la sorte ritornasse ad arriderle, le apparve una Fata che le porse una scatolina di legno intagliato dicendole: “Non piangere più e smetti di preoccuparti. Con il mio aiuto entro un anno, a partire da oggi, i tuoi affari torneranno a prosperare.
Ti chiedo in cambio un impegno: dovrai ogni giorno, al sorgere e al tramontare del sole, prendere con te questa scatolina e fare il giro di tutte le tue proprietà, senza trascurare un campo, né una stalla, né una stanza qualsiasi della tua casa. Non ti è concesso aprire la scatola ora, ma fra un anno esatto tornerò e te ne darò la chiave, così potrai accedere al suo segreto”.

La Fata svanì e la donna fece esattamente ciò che le era stato detto. Ogni giorno, qualunque tempo facesse, prendeva con sé la scatolina e faceva il giro delle sue proprietà, visitando ogni luogo.

Giorno dopo giorno, in capo a pochi mesi, gli affari tornarono a prosperare e nel giro di un anno la situazione era migliorata al punto che la donna non ricordava di aver trascorso un momento più bello e intenso nella sua vita, coronato oltretutto da numerose proposte di matrimonio.
Una notte, allo scadere dell’anno trascorso, la Fata ricomparve. La donna la ringraziò commossa e le restituì la scatolina miracolosa, non senza una certa curiosità per il suo contenuto. La Fata, come promessole, le consegnò una minuscola chiave che la donna subito rigirò nella piccola serratura per vedere cosa di tanto miracoloso la scatola contenesse. Con grande suo stupore, la scatola… era
vuota.

Alla donna attonita, la Fata disse dolcemente: “Vedi, ciò che ha compiuto il miracolo è stata la tua presenza costante nella tua casa, in ogni luogo e spazio della tua tenuta. È bastato che tu compissi ogni giorno un semplice passaggio all’alba e al tramonto perché tutti coloro che lavorano per te, vedendoti così attenta e partecipe delle loro attività, lavorassero con più entusiasmo e maggior efficienza. La tua presenza è la sorgente del miracolo, da essa è scaturita una maggiore proficuità. Da oggi non avrai più bisogno della scatola, era solo uno stratagemma senza il quale non mi avresti mai creduta.
Ora che conosci il segreto, ti basterà continuare ad essere attenta e presente come lo sei stata in questi ultimi tempi per mantenere questo stato di prosperità nel luogo che abiti, e far sì che tutto si svolga in ordine e nel migliore dei modi…”.

Così è: viviamo una dimensione corporea sfaccettata e complessa, della quale possiamo permetterci di conoscere ben poco, perché l’intelligenza della Natura ha fatto sì che la maggior parte delle cose nel corpo avvengano senza la necessità di una nostra presa di coscienza diretta, senza bisogno di un controllo consapevole. Il cuore batte, a prescindere dall’attenzione che poniamo al suo lavorio incessante… e tutti i processi che portano il nostro corpo prima a crescere, poi a rigenerarsi, e sempre a produrre energia, avvengono sotto la direzione invisibile di una saggezza inconscia, nascosta e precisa.

Tuttavia, e in particolare quando qualcosa ci scuote improvvisamente dalla nostra routine, ci sono momenti e situazioni in cui, se vogliamo che tutto proceda o ritorni a procedere in ordine e nel migliore dei modi, ovvero in modo funzionale, è inevitabile divenire presenti a quella meravigliosa architettura che fa del corpo il Tempio, se non delle spirito, almeno della consapevolezza.

Il Tempio ha decine, centinaia di stanze e noi, nella maggior parte dei casi, ci accontentiamo di abitarne una o due… che spreco di risorse! …senza poi considerare il fatto che i luoghi non abitati ben presto decadono…

Sì, abitare tutte le stanze del Tempio e dar loro luce, aria, calore… viverle facendole vivere, e vivendoci dentro e attraverso… restando presenti e portando attenzione a ogni processo e a ogni sentire nascosto, a ogni percezione ed emozione, per approdare a quel sentire reale che va oltre l’emozione stessa… oltre il sentimento, il senso di esistere

Ogni giorno essere consapevoli di ogni luogo del corpo con la mente, presenti a ogni parte di esso affinchè si coordini e integri mirabilmente in un tutto-uno e unico
Ogni momento, essere presenti al respiro e al battito del cuore, che ci ricordano che siamo, e chi siamo…vita, esistenza… Essere.

mercoledì 8 luglio 2009

La Via dell'Equilibrio

Spesso, per fuggire, contrastare o stemperare stati emotivi o mentali che consideriamo “down”, come la tristezza, la malinconia, l'umore depresso, si crede di dover incrementare gli “up”, come l'entusiasmo, l'esaltazione, il divertimento. Spesso, pur magari già sapendo che ci si può assuefare anche alle proprie medesime produzioni interne di neurotrasmettitori, quelle sostanze chimiche che veicolano le nostre emozioni, crediamo di essere immuni a questo rischio. La trappola degli eccessi fa sì che il nostro corpo si abitui, ahinoi, a tutto ciò che è eccessivo, “impostandosi” sull’eccesso come se fosse la norma. Nutriamo emozioni eccedenti e poi non riusciamo a gestirne i picchi, ritrovandoci continuamente dalle stelle alle stalle e viceversa… e di fatto dimostrando a noi stessi di non poter fare a meno di quell’altalena, per quanto apparentemente invochiamo l’equilibrio.
Anche il nutrire continuamente stati quali l’entusiasmo e la cosiddetta inflazionata "felicità", quando non ci basta che ci si presentino spontaneamente ma sentiamo la necessità di ricercarli e indurli a volontà, può condurci a soggiacere a bisogni presunti… e anche questa è prigionia.

Quando per star bene abbiamo bisogno a tutti i costi di quel qualcosa, sia esso un’emozione ricorrente o uno stato mentale, fisico o emozionale indotto, dimostriamo che non siamo liberi. Possiamo ritrovarci a dipendere dallo stato di innamoramento, che con la sua lieve euforia induce in noi un’attivazione sottilmente eccitante, come dallo stato di tristezza che ci porta a compatire noi stessi e il mondo e a ritirarci in meandri introspettivi forieri di profonde riflessioni... in ogni caso, consciamente o inconsciamente cercheremo, o attireremo, situazioni che possano soddisfare la nostra dipendenza dallo stato emotivo al quale siamo assuefatti.
Personalmente, le uniche cose dalle quali accetto di dipendere sono l’aria che respiro, il cibo e l’acqua di cui nutrirmi, lo spazio in cui muovermi… una terra e un cielo per sostenermi e orientarmi e ritrovare le mie radici nella materia e nello spirito che forniscono l’ordito e la trama alla tessitura del mio essere. Tutto il resto, altri compresi, costituisce il piacere dell’incontro, dell’esperienza, dell’apprendimento, del riconoscimento, della condivisione, e la scelta di mantenere il contatto o prendere distanza con discernimento.
Non c’è emozione “di picco” cui, secondo la mia esperienza, valga la pena di assuefarsi, se il prezzo che si paga è la propria libertà di essere… a maggior ragione quando pensiamo che controllare a comando ciò che proviamo ci renda più potenti. Meglio conoscere e riconoscere le proprie emozioni per apprendere a gestirle, piuttosto che lasciarsi gestire da esse credendo di averlo "scelto" attraverso un'illusione di controllo, e per di più pensando di averle scelte di propria volontà. Una libertà reale implica possibilità di scelta senza limiti, e la volontà spesso ne impone, poichè si può volere solo ciò che già si conosce o si presume.

I testi sacri di varie tradizioni spirituali concordano: “...beato colui che sa dipendere solo da Dio”. E alcuni di essi aggiungono che, a quel punto, l'Universo esaudisce ogni richiesta e desiderio... Senza scomodare Dio e l'Universo, anche solo prendendo in considerazione quell’ordine naturale che fa sì che ciascuno di noi possa facilmente disporre di ciò che realmente gli è necessario per vivere e realizzarsi pienamente, il resto potrebbe costituire l'illusione, ovvero restrizioni che noi stessi imponiamo al flusso generoso della Vita, credendo di sapere meglio di essa cosa ci serve per vivere felicemente. Ovviamente chi legge sa a priori che scrivo e de-scrivo mie esperienze soggettive… e il fatto che queste mie esperienze siano condivise da alcuni, accomunati forse dalla stessa fiducia o da chissà cos'altro, non significa necessariamente che lo siano per tutti... L'esperienza, per quanto condivisa o condivisibile, è comunque sempre personale. La mia personale esperienza degli stati di flusso, di quei momenti in cui tutto sembra davvero accadere e fluire facilmente come per magia, in cui le risposte e i doni della vita giungono puntuali soddisfando ogni bisogno e necessità reali addirittura in anticipo sulla possibile richiesta, senza nemmeno passare per il desiderio, mi dimostra che tutte le volte che mi abbandono con fiducia la corrente mi porta là dove sono attratta e attesa, là dove scopro tesori inimmaginati, là dove ciò che accade è superiore a quanto avrei potuto desiderare e dove il mio "fare" è piuttosto un "lasciar fare", un lasciare che le cose accadano, magari attraverso di me. Quando invece mi allineo e focalizzo su necessità presunte, la mia stessa presunzione mi allontana da ogni meta e obiettivo, per quanto ambiti, voluti e nutriti da emozioni e stati "up" ad ogni costo... Eppure, nonostante la vita mi dimostri continuamente che così funziona, sembra che l’inganno perpetrato da quell’ego che cresce nutrito da falsi bisogni sia duro da vincere... sembra davvero impegnativo venir fuori dalla trappola delle necessità presunte… e quando sembra che per star “bene” si abbia bisogno di sentirsi euforici, "in controllo", "carichi" ed entusiasti ad ogni costo, per esperienza dico che si rischia la propria autonomia, così come quando ormai si è presa l’abitudine di crogiolarsi nei propri malanni.

Ho tenuto qualche tempo fa uno stage intensivo di due giorni sul movimento. Il gruppo, una dozzina di persone, ha sperimentato vette energizzanti nella danza, e al termine ci siamo raccolti in un cerchio di condivisione per concludere la giornata integrando le esperienze vissute insieme. Qualcuno si è mostrato perplesso di fronte a questa scelta… Perché "atterrare", rientando nella pacatezza, invece di uscire dalla sala dello stage belli carichi, pronti a sfidare il mondo? Perchè, a mio avviso, qualunque stato venga sperimentato e raggiunto, per stabilizzarsi va incorporato, integrato nella propria esperienza di vita… altrimenti rimane un’esperienza isolata, bella sì, magari… un’esperienza alla quale magari ci si illude di potersi ancorare per fare ricorso a quell’ancora di salvezza nei momenti "difficili"… Poi si scopre che i momenti davvero "difficili" rendono ardua l’impresa di riattivare l’ancoraggio… solo perché tutto si gioca sull’intensità emotiva… Già, perché è l’intensità quella che vince, e anche l’ancoraggio più potente trema di fronte alle interferenze di momenti davvero intensi che solo la vita reale può serbare… Integrare, incorporare significa rendere indelebile l’esperienza, renderla costantemente non solo accessibile quanto presente… parte di sé a tal punto che si incarna quello stato… e anche nei momenti più duri e difficili, una volta smaltito l’effetto di qualunque interferenza emotiva si presenti o durante il processo stesso di "smaltimento" dei neurotrasmettitori associati, a quello stato si ritorna facilmente, perché una volta stabilizzato e integrato esso costituisce una base del proprio sentire. E l’integrazione, e la stabilizzazione, di qualunque esperienza, emozione o stato, avvengono nell’equilibrio.

Perseguire l’equilibrio per alcuni può sembrare noioso. Cosa c’è di esaltante, di eccitante, nell’equilibrio? Cosa c’è di attraente nella pacatezza che consente di guardare serenamente a ogni cosa facendo a meno dell’attaccamento e andando oltre ogni tentazione di formulare giudizi? Non è nemmeno una condizione che implichi assenza di sofferenza: nell’equilibrio ci si può permettere anche di soffrire quanto di gioire. Semplicemente, l’equilibrio implica la capacità di gestire emozioni, sensazioni, sentimenti anche estremi senza subirli e senza far ricorso a stratagemmi o strategie che ci distolgono dal vero, da quel sentire autentico e reale che ci permette di costituire la nostra coscienza stessa di esistere. C’è spazio anche per gli eccessi, nell’equilibrio, senza che si debba coltivarli assecondando tragicommedie interiori. È uno stato che ci restituisce la nostra dignità di essere umani, la nostra capacità di riconoscerci responsabili di ciò che viviamo e sperimentiamo.

Nell'equilibrio si sperimentano un'amorevolezza, una comprensione, una compassione la cui intensità oltrepassa qualsiasi passione, alla fine passivamente subìta, o l'impeto di qualunque innamoramento che susciti emozioni e sensazioni inevitabilmente transitorie. E nell'equilibrio vi è l'accesso a una profondità, un'elevatezza, un'intensita di sentire e sentimenti cui nessun picco potrà mai portare... come se fosse un accesso privilegiato, contraddistinto dall'assoluta spontaneità e dall'assenza di ogni bisogno o aspettativa...
Nell'equilibrio vi è un segreto, e poichè e tale è impossibile svelarlo... Si presenta e si svela da sè, quando all'equilibrio reale si accede... ...e di certo i veri equilibristi, come certi danzatori, acrobati, atleti, sanno qual è... il segreto di quella stabilità profonda che concede ogni volteggio in levità assoluta... quel sostegno interno che permette di giocare con il peso e con la gravità coniugando responsabilità e leggerezza... la presenza... nel presente...
...perchè nell'equilibrio è il segreto del flusso...

mercoledì 1 luglio 2009

Metafora al chiaro di luna

Una volta vidi due lumache accoppiarsi. Erano due lumache vere, quelle senza chiocciola. Le avevo viste di notte incontrarsi sul piano di un muro di pietra, all’altezza dei miei occhi: provenendo da direzioni opposte stavano andando l’una verso l’altra, inesorabilmente attratte da mete comuni, inconsapevoli. Giunte al contatto, si erano soffermate a saggiarsi con piccoli tocchi, lentissime e dolcemente giocose.

Non avrei mai detto che le lumache potessero essere tanto sensuali…

Le vidi intraprendere una strana danza al chiaro della luna piena, accavallandosi dapprima, poi intrecciandosi come lenti serpenti. A quel punto, con le estremità finali dei loro corpi che filavano una bava lucente, trasparente e spessa, si appesero al bordo sporgente del muretto lasciandosi andare dolcemente nel vuoto, sospese a testa in giù. E in un abbraccio infinito, così intrecciate, iniziarono a roteare armoniosamente, lentamente, in un’ipnotica danza a spirale che le portava a discendere in chissà quali profondità mentre, lentissime, scendevano inesorabilmente verso terra. Il filo d’argento al quale erano sospese si allungava e pareva potesse farlo all’infinito, come infinito pareva il loro amplesso. E il loro roteare, da lento pareva farsi vertiginosamente vorticoso, mentre si compenetravano come una cosa sola.
Mi chiedevo quanto tempo potesse durare il loro incontro…la loro danza … pareva eterna, al di là di spazio e tempo…e mi appariva chiaro che, insieme, stavano compiendo sinuosamente un percorso al di là delle rotte ovvie e ordinarie, un viaggio aereo che da sole non avrebbero vissuto mai, una discesa calma e insieme rapida, inconsueta e sorprendente in una dimensione nuova, leggera… ormai lontane dal muro di pietra sul quale strisciavano… prima…ora muovendosi nell'aria e planando sicure verso il loro paradiso, un giardino rigoglioso che le aspettava per accoglierle…

“…ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso...
...e il piccolo è come il grande…”
diceva Ermete Trismegisto…

Chissà se le lumache amano…

Erano bellissime le due lumache, sospese in quel vuoto pieno della loro intensità.
Non le vidi lasciarsi. Volsi lo sguardo altrove e le lasciai là a brillare sotto i raggi di luna, a memoria di un attimo eterno presente, un attimo prima che toccassero la terra carica di fragranze estive, per ricordarle eternamente allacciate in quella mirabile Danza della Vita che così profondamente mi aveva toccata dentro.